Trento, la scelta dell'Università: femminile sovraesteso per tutte le cariche dell'Ateneo
“I termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone”. Recita così uno dei comma del primo articolo del Regolamento generale di Ateneo dell’Università di Trento, oggi al centro dell’attenzione per una scelta senza precedenti in Italia. Quella, cioè, di utilizzare, in questo documento, il femminile sovraesteso. Declinare, cioè, al femminile, tutte le cariche del Consiglio di amministrazione dell’Università. Il documento, importantissimo dal momento che regolamenta ogni cosa della vita dell’Ateneo, dalla sua costituzione alle modalità di elezione, al funzionamento degli organi interni e alle disposizioni generali, è stato aggiornato con una nuova versione. Che rispecchia in pieno l’impegno che questa università, da anni, mette nella costruzione di una società equa, in cui esiste (nei fatti, e non solo a parole) la parità di genere.
In Italia questa scelta sta sollevando un po' di polemica: è giusta o meno questa presa di posizione da parte di un'università, organo promotore di cultura per eccellenza? Il dibattito intorno al linguaggio inclusivo è, nel nostro paese, ancora in fase embrionale. La reazione della maggior parte delle persone è di rifiuto, rigetto di un cambiamento che non è ancora stato metabolizzato dalla società. Una mentalità ancorata a determinati schemi, che vede in tutto ciò una minaccia, una concessione alle frange più estreme del femminismo arrabbiato. Chiarisce meglio il tutto Barbara Poggio, prorettrice alle politiche di equità e diversità di UniTrento.
Trento, l'Università declina tutto al femminile: "La nostra sperimentazione"
“Abbiamo da anni una sensibilità spiccata sui temi della parità e dell'equità di genere, e abbiamo anche dal 2017 delle linee guida sull'utilizzo di un linguaggio attento, in cui cerchiamo di nominare sia il maschile che il femminile”, ha detto a Mattino Cinque poco fa Barbara Poggio. La quale spiega, nel dettaglio, tutto il processo che ha portato l'Università a questa scelta. E la sua risposta è molto interessante. “Gli organi particolari che approvavano il regolamento hanno pensato a quale tipo di linguaggio usare, e come applicare queste linee guida, che però appesantivano molto il testo, perché il regolamento generale di ateneo è un documento molto particolare, che presenta tantissimi riferimenti a cariche e figure. E questo voleva dire sdoppiare tutto al maschile e al femminile, e senza poter usare quelle formule comprensive e generali che a volte usiamo, proprio per non appesantire".
"Si è pensato che, almeno nella formulazione iniziale, fosse utile usare un’unica forma. Si è partiti utilizzando il femminile, anche come sperimentazione, e in particolare il rettore e diversi colleghi hanno percepito questo senso di esclusione nel continuo riferimento a termini femminili. E hanno pensato che fosse utile mantenere questa forma al femminile, per dare un segnale di attenzione ulteriore alla dimensione della parità di genere".
Quel che è interessante è questo senso di esclusione avvertito dagli uomini dell'Ateneo. Che si sono, quindi, messi nei panni delle donne. "Chissà come ci si sente a vedere il proprio sesso escluso categoricamente, a priori?". Una sperimentazione interessante, che va oltre la lingua.
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