Alessia Pifferi, madre della piccola Diana. Parla il suo avvocato Luca D'Auria: "Anche un mostro va difeso"

Alessia Pifferi è la madre della piccola Diana, morta di stenti a 2 anni dopo essere rimasta da sola in casa per diversi giorni. A 'TuttoNotizie' parla l'avvocato della donna, Luca D'Auria.

Il suo caso la scorsa estate ha scosso l'Italia, e a distanza di mesi continua a far parlare. Stiamo parlando di Alessia Pifferi, 37 anni, rinchiusa in carcere da luglio in seguito alla morte della figlioletta Diana. La piccola aveva 18 mesi, ed è stata ritrovata in casa, senza vita. Secondo l'autopsia sul corpicino, Diana è morta disidratata. Non beveva né mangiava da giorni, dopo che sua madre era andata via di casa, lasciandola sola. Alessia Pifferi sarebbe rientrata nell'abitazione quando ormai era troppo tardi: Diana era deceduta.

Difesa dagli avvocati Luca D'Auria e Solange Marchignoli, Alessia Pifferi è per il momento rinchiusa nel carcere milanese di San Vittore, in attesa del processo.
A TuttoNotizie.eu parla l'avvocato D'Auria.

La vicenda relativa alla morte della piccola Diana tiene ancora banco nell'opinione pubblica italiana. In casi del genere, in cui l'imputato è, per così dire, così 'esposto', la linea difensiva ricorre spesso all’infermità mentale. E' accaduto, ad esempio, nel processo di Benno Neumair. Una strategia che avete valutato anche per la sua cliente, Alessia Pifferi?
Abbiamo nominato il principale neuroscienziato cognitivo d’Italia, che è il professor Giuseppe Sartori dell’Università di Padova, e lo psichiatra forense Pietro Pietrini. Entrambi non sono stati fatti accedere, con ben due provvedimenti del giudice, a visitare la nostra assistita. A questo punto, anche se la nostra strategia sia quella di valutare l’infermità mentale di Alessia, la richiesta è stata bloccata. Non è stato potuto accertare la capacità di intendere e di volere della nostra assistita.

Perché questa richiesta è stata bloccata?
E' stato stabilito sin dall’inizio che Alessia era ed è capace di intendere e di volere. Un dato, peraltro, su cui concordano anche gli psicologi del carcere. E che non sarebbe possibile provare il dolo di Alessia con questo strumento. Ovviamente, da nessuno di questi punti di vista la difesa è d’accordo.

Inoltrerete ancora tale richiesta?
Certo, da definire quando.

Come sta oggi Alessia Pifferi? Cosa si aspetta?
Bene non può stare. Primo, perché nessuno sta bene in carcere. Secondo, perché come dice da sempre, nel suo agire non aveva volontà di uccidere. Terzo, perché ha capito di essere trattata da mostro dalla società e da chi segue la vicenda. Ha sempre negato di aver somministrato calmanti a base di benzodiazepine alla figlia, e devo dire che dalla perizia autoptica tutto questo sembra darle ragione.

Tra i capelli della bambina ci sono però tracce di questo tipo di sostanza.
Potrebbe essere frutto di una contaminazione esterna. Alessia da sempre ci dice di non aver somministrato nulla alla bambina. Cosa che lei lega alla mancanza della volontà omicidiaria.

Cosa è accaduto durante l’incidente probatorio sulla scena del crimine?
L'incidente probatorio serve a rilevare le tracce genetiche su alcuni oggetti trovati sulla scena del crimine. La boccettina, il biberon, il pannolino. Nel corso del sopralluogo, il nostro consulente ha visto che nel lavandino c’erano due tazzine. Abbiamo chiesto di verificare se era possibile che su di esse ci fossero impronte papillari o genetiche tra loro uguali o quasi uguali a quelle presenti su altri oggetti, ma anche questo tipo di richiesta è stata respinta. Spesso una scena del crimine può suggerire qualcosa di ulteriore rispetto a quel che già si sa. Chi ha transitato per quella casa nei momenti precedenti a quando Alessia è andata via? Senza voler puntare il dito verso nessuno, ma per completezza di indagini credo che questo fosse un dato importante da avere.

Alessia Pifferi cercava un compagno per la vita. L'avvocato D'Auria: "Nessun abuso sulla piccola"

Parliamo della famosa chat incriminata tra Alessia e un uomo il quale avrebbe chiesto di baciare la piccola. 
Questa è stata un’estrapolazione di chat più lunghe e con più persone che Alessia aveva. Lei rappresentava sempre, agli uomini che frequentava, di avere una figlia piccola. La sua volontà era quella di trovare un compagno per la vita. E quindi di escludere coloro che non fossero interessati ad avere una relazione con lei che prescindesse dalla figlia. In riferimento a quell’uomo, Alessia nega che quella frase avesse una indicazione maliziosa. Ma che fosse semplicemente una frase di affetto pronunciata da una persona che avrebbe voluto conoscere la bambina. Alessia e costui si sono visti una sola volta, ma dopo non è successo più niente.

Da questa chat si è ipotizzato un reato pesante, quello di abusi sessuali ai danni di Diana.
Tutto questo è stato totalmente escluso. Molto ha contribuito la facilità con cui si costruisce sempre di più la figura del mostro.

Parliamo dei risultati dell’autopsia: se Alessia Pifferi fosse tornata a casa in tempo, forse Diana sarebbe sopravvissuta. La sua cliente in merito si è espressa?
Alessia conosce molti passaggi dell’autopsia perché ne abbiamo parlato con lei. Ma il tema non è se fosse passata di casa in tempo. Lei dice: "Io non volevo ucciderla". E da questa posizione è irremovibile.

Avvocato, al di là dall’istinto materno che in una donna può o non può esserci, com’è possibile che una donna adulta non immagini che lasciare una bimba da sola a casa senza cibo né acqua riesca equivalga a una condanna a morte?
Per questo abbiamo chiesto il parere dei consulenti. Dal punto di vista del giudizio comune non ci sono commenti da fare: i difensori non sono chiamati a darne.

Quali sono le richieste della donna dal carcere? 
Ha chiesto la foto della bambina e di sapere dove è sepolta. La sua speranza è quella di andare sulla sua tomba per pregare e piangere la figlia morta. Credo che a nessun assassino, se Alessia possa essere considerata tale, si possa negare un diritto innanzitutto cristiano.

Le verrà concesso?
Chissà quando.

Il legale di Alessia Pifferi: "Vorrebbe tornare indietro nel tempo. Nessuna notizia sul padre della bambina"

La sua assistita mostra segni di pentimento, di rimorso?
Non si pente di una cosa che non voleva fare. Ovviamente vorrebbe tornare indietro, lo dice spesso. Riavvolgere il nastro e non cascare nella trappola mentale di andarsene via sette giorni. A tutti noi capita di avere trappole mentali: talvolta hanno esiti fortunati, altri terribili e tragici, come in questo caso.

Parliamo del diario scritto da Alessia in carcere: un racconto che sembra poco credibile. La donna testimonia di non sapere di essere incinta, di aver partorito nel bagno di casa. Sembra quasi, da parte della Pifferi, un modo per dire che non aveva mai avuto alcun desiderio di maternità.
Il diario lei l’ha scritto in totale solitudine nella sua cella e che in seguito ci ha consegnato. Sarebbe sicuramente un buono spunto per visite di tipo cognitive. Ma, come detto, siamo fermi al diniego.

La bambina non aveva mai ricevuto nemmeno i vaccini di base.
La mia assistita ha riferito che questa circostanza era legata a semplici lungaggini burocratiche.

Si sa qualcosa sul padre di Diana? Alessia Pifferi sa chi è?
Lei pensa di saperlo, ed è una persona con cui ha intrattenuto una relazione, ma con cui si sono persi di vista. Probabilmente ne ha un’idea.

Qualche uomo si è mai fatto avanti?
No, nessuno. Su questo non sappiamo nulla.

Secondo lei com'è stato presentato il caso dai media nazionali?
Tutti i casi di cronaca nera così gravi sono presentati per quello che sono. E questo caso ha delle caratteristiche uniche anche dal punto di vista della durezza della vicenda. Si è scatenato sin da subito un attacco totale nei confronti della persona, a tal punto che, secondo me, si arriva a chiedersi se sia efficiente un sistema che difenda una persona così gravemente colpevole di aver messo in atto un’operazione di omicidio di questo tipo. In molti altri casi, come la strage di Erba, Garlasco, l'omicidio di Yara, si è sempre avuto il dubbio se gli accusati fossero colpevoli o meno. L’anomalia del caso di Alessia rispetto all’interesse pubblico è il fatto che per certi versi non vi è dubbio che quello che è successo sia dipeso dal suo comportamento.

In questo caso è sottesa una questione giuridica molto sottile: sotto quale fattispecie di reato integrare tutto questo.
Ci sono reati come il maltrattamento o l’abbandono con la morte che dal punto di vista della condotta potrebbero essere molto simili. Ciò di cui si è discusso è su che tipo di persona è Alessia, fino a chiedersi: va mai difesa una persona così? I difensori di Alessia sono, così, diventati gli imputati di default perché “osano” difenderla. Secondo me quel che sta sotto l’interesse così mediatico di questa vicenda non è il dubbio sulla responsabilità di Alessia né il tipo di reato ma, sottotraccia, la domanda: una persona così va difesa? E se mai la difesa trovasse delle ragioni, questo è eticamente lecito, o no? Il mostro ha diritto a essere difeso? L’aspetto umano diventa, così, parte della vicenda giudiziaria. 

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