Colloquio di lavoro come bagnina: “Cosa mi sono sentita dire dal capo: siamo ancora al Medioevo”

Una giovane lettrice racconta, in una lettera anonima, la discriminazione subita durante un colloquio di lavoro per essere assunta come bagnina: competenze professionali oscurate dall’aspetto fisico

Riceviamo e pubblichiamo la lettera ricevuta da una giovane lettrice che, pur restando anonima, ha deciso di raccontare la sua esperienza in un colloquio presso uno stabilimento balneare. Nella sua testimonianza emergono elementi che non riguardano un singolo episodio isolato, ma un fenomeno, purtroppo, ancora molto diffuso in Italia: la valutazione dei candidati non in base alla loro preparazione, ma secondo criteri estetici. In un lavoro che implica salvataggi in mare, conoscenze di primo soccorso ma anche gestione di situazioni di emergenza, è inaccettabile che conti più la prestanza fisica, che la competenza: questo il messaggio della nostra lettrice. Di cui, di seguito, riportiamo quanto ci ha scritto.

La denuncia di un’aspirante bagnina

Ho recentemente sostenuto un colloquio per una posizione da bagnina presso uno stabilimento balneare. Mi sono presentata con i requisiti richiesti: brevetto di salvataggio, corso di primo soccorso, abilitazione all’uso del defibrillatore. Competenze che rappresentano la base necessaria per garantire la sicurezza dei bagnanti”.

bagnina

Durante il colloquio, tuttavia, mi è stato fatto capire che non sarebbero bastati i titoli e la preparazione. Con allusioni poco velate mi è stato detto che per ottenere il posto contava anche “l’aspetto”, la “presenza fisica”, come se il ruolo fosse più vicino a quello di una comparsa da vetrina che a quello di una professionista pronta a intervenire in situazioni di emergenza”

“Quando una persona rischia di annegare, non guarda l’estetica di chi la soccorre: ciò che conta è la rapidità, la prontezza, l’efficacia del gesto professionale”

Questo tipo di richiesta non solo umilia chi cerca lavoro con serietà, ma soprattutto sminuisce il valore di una professione delicata, in cui sono in gioco vite umane”, continua la nostra lettrice. “Quando una persona rischia di annegare, non guarda l’estetica di chi la soccorre: ciò che conta è la rapidità, la prontezza, l’efficacia del gesto professionale”.

Ho lasciato quel colloquio con un senso di profonda delusione. Non tanto per me stessa, quanto perché ho compreso quanto sia diffusa la mentalità che riduce il lavoro femminile a una questione d’immagine. Una mentalità che discrimina, che limita le opportunità e che rischia di trasformare un ambiente di lavoro in un palcoscenico. Purtroppo, anche se è dura da constatare, mi rendo sempre più conto che siamo ancora al Medioevo. Racconto questa esperienza affinché emerga con chiarezza che non è più tollerabile accettare condizioni simili. Lavoro significa competenza, responsabilità, professionalità. Non estetica, non apparenza”.