Cosa significa, secondo la psicologia, non voler mai andare al mare in estate? Non si tratta solo di preferenze, ma di vere e proprie condizioni che coinvolgono alcune persone.
L’estate arriva, il caldo incalza, e il mare sembra la meta naturale per molti. Eppure, c’è chi a quella spiaggia affollata, ai tuffi tra le onde e alle giornate sotto l’ombrellone proprio non riesce a cedere. No, non si tratta solo di una preferenza personale o di una legittima inclinazione verso la montagna. Secondo la psicologia, rifiutare il mare può nascondere significati profondi e sorprendenti.
Cosa significa non voler andare al mare in estate? La risposta della psicologia
Il mare può fare paura, non solo in senso figurato. La talassofobia, termine che indica la paura intensa e persistente del mare, è una vera e propria fobia. Il timore può essere rivolto all’ignoto nascosto sotto la superficie, alle profondità marine o all’idea stessa di essere circondati dall’acqua. Secondo lo psicologo americano Marc Carlin, questa fobia è sempre più diffusa, anche a causa dell’immaginario mediatico che ha dipinto il mare come luogo di pericolo (basti pensare a film come “Lo Squalo”). Esperienze traumatiche pregresse, come quasi-annegamenti o incidenti in acqua, possono innescare una risposta fobica che rende l’idea di andare al mare insostenibile.

Il mare è immenso, imprevedibile, privo di confini. Per alcuni, questa caratteristica è fonte di libertà. Per altri, è una minaccia. Elizabeth Moore, psicologa e autrice di diversi saggi sul controllo psicologico, spiega che chi ha una personalità fortemente controllante tende a evitare ambienti caotici o imprevedibili. Il mare diventa così il simbolo dell’ignoto, e quindi dell’ansia. Questo atteggiamento può trovare radici negli stili di attaccamento infantile studiati da John Bowlby e Mary Ainsworth. Chi ha sperimentato relazioni instabili nelle fasi iniziali della vita può sviluppare un bisogno eccessivo di prevedibilità e sicurezza, rendendo il mare emotivamente ingestibile.
Troppi stimoli per chi ama la calma: la mente introversa
La spiaggia è chiassosa, piena di stimoli, sovraffollata. Per una persona introversa, tutto questo può essere eccessivo. Susan Cain, nel suo libro “Quiet: Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare”, evidenzia come gli introversi tendano a evitare ambienti ad alta stimolazione. E la spiaggia, con la musica, la gente, i bambini che urlano e le conversazioni fitte, è l’emblema della sovrastimolazione. Anche Sylvia Löhken, autrice di “Introversi e felici”, conferma che chi ha un temperamento introverso cerca luoghi più silenziosi, intimi, strutturati. Per coloro che amano calma e silenzio, sarebbe preferibile un sentiero tra i boschi piuttosto che una distesa di sabbia rovente.
Non sempre si nasce con l’amore per il mare. A volte, si cresce senza. Chi ha avuto esperienze negative in spiaggia, magari legate all’infanzia, può sviluppare un rifiuto inconsapevole. L’obbligo familiare ad andare al mare, l’ansia generata da episodi spiacevoli o semplicemente l’abitudine a trascorrere le estati altrove possono determinare gusti e preferenze in età adulta. La psicologia dello sviluppo sottolinea spesso quanto l’ambiente in cui si cresce influenzi le scelte future, anche quelle apparentemente più banali, come la meta per le vacanze estive.
Inoltre c'è chi il mare lo evita per un motivo ben preciso: il costume da bagno. Mostrare il proprio corpo, esporsi allo sguardo degli altri, può generare disagio profondo, soprattutto in chi soffre di insicurezze fisiche o ansia sociale. Il disturbo da dismorfismo corporeo, ad esempio, è una condizione clinica che porta a una percezione distorta del proprio aspetto. Secondo il portale GAM Medical, molte persone evitano luoghi come spiagge o piscine proprio per non essere costrette a esporsi. Il giudizio altrui, anche solo immaginato, può trasformarsi in una gabbia mentale.
Quando il mare diventa scomodo
C’è infine un livello più superficiale, ma non per questo irrilevante. Il mare può semplicemente risultare scomodo. Traffico, parcheggi impossibili, costi elevati, mancanza di spazi personali. Tutti elementi che, sommati, spingono alcune persone a rinunciare alla spiaggia. In questo caso, la psicologia c’entra meno, ma contribuisce comunque a formare una mappa dei bisogni personali. Se il disagio supera il piacere, la scelta diventa comprensibile. Rifiutare il mare non è un capriccio, né una stranezza da giustificare. È spesso la manifestazione di qualcosa di più profondo: una fobia, un tratto di personalità, una memoria emotiva o un disagio legato al corpo. La psicologi, da questo punto di vista, invita a guardare con rispetto a queste scelte, evitando giudizi affrettati.