Su Netflix la prima opera di Paolo Sorrentino: Servillo come non l'avete mai visto

Su Netflix c'è un film che affronta la tematica del successo e del suo decadimento, la prima opera del regista Paolo Sorrentino: qui c'è Toni Servillo in un ruolo veramente fuori dal comune, come non l'avete mai visto.

Esiste un momento, nella carriera di ogni grande autore, in cui tutto comincia. Per Paolo Sorrentino, quel momento ha un titolo preciso: L’uomo in più. È il 2001 quando questo film fa il suo debutto nelle sale italiane, ancora lontano dai fasti internazionali de La grande bellezza, ma già capace di imprimere una firma unica nel panorama cinematografico. Un’opera prima, sì, ma per nulla acerba. Al contrario, potente e matura, costruita su una scrittura lucida e uno stile visivo già personale.

Ambientato nella Napoli livida e disincantata degli anni ’80, L’uomo in più è un racconto doppio, parallelo, eppure speculare. Due protagonisti, due esistenze che si muovono su binari distanti ma destinati a incrociarsi. Entrambi si chiamano Antonio Pisapia. Uno è un calciatore di Serie A, l’altro un cantante di musica leggera. Due vite all’apice del successo che si ritrovano, improvvisamente, a fare i conti con la caduta.

Netflix, l'opera prima di Paolo Sorrentino: Toni Servillo irriconoscibile

Antonio, il calciatore, è un uomo retto, il simbolo di un talento puro e silenzioso. Ma nel mondo del calcio, la rettitudine non basta. Un infortunio al ginocchio, causato da una vendetta trasversale legata a un giro di scommesse, stronca la sua carriera nel momento più alto. Da lì inizia il lento scivolamento verso l’isolamento. La perdita della moglie, la difficoltà di trovare un nuovo scopo, l’incapacità di reagire: tutto lo riconduce a una malinconia muta, in cui si riflette l’amarezza di chi ha perso tutto senza una colpa reale.

Dall’altra parte c’è Tony, il cantante. Spavaldo, narcisista, immerso nel successo e nella cocaina. Vive di eccessi, ma anche lui è destinato a precipitare. Uno scandalo sessuale lo travolge, lo spedisce in carcere, lo cancella dal cuore del pubblico. Quando torna libero, è un uomo spezzato, costretto a cantare nei teatri di provincia, aggrappato a una fama che non esiste più. Il suo è un declino rumoroso, fatto di rabbia, umiliazione e rimpianti.

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Toni Servillo in una scena del film

Sorrentino costruisce un racconto amaro, in cui il successo è fragile, passeggero, incapace di salvare. La Napoli che fa da sfondo non è mai cartolina, non concede folklore: è una città fredda, quasi astratta, riflesso emotivo dei suoi personaggi. Le atmosfere sono dense di inverno, i colori virano al grigio, la fotografia restituisce un senso di sospensione che accompagna tutta la narrazione.

Due interpretazioni complementari

Il regista si ispira liberamente a due figure emblematiche della cultura italiana: Franco Califano e Agostino Di Bartolomei. Entrambi icone cadute, entrambi simboli di una gloria che non è bastata a salvarli. Non si tratta di biografie, ma di suggestioni. Come se il regista avesse preso lo scheletro di quelle vite e le avesse trasfigurate in qualcosa di nuovo, capace di raccontare l’universalità della disfatta. Il film si regge su due prove attoriali intense e profondamente diverse. Toni Servillo, nei panni di Tony, offre una performance sopra le righe, teatrale, piena di energia, che però si spegne nel vuoto esistenziale del suo personaggio. Andrea Renzi, invece, interpreta il calciatore con una silenziosa disperazione, tutta contenuta nei gesti e negli sguardi. La loro complementarità dà equilibrio al racconto e contribuisce a renderlo così potente.

La colonna sonora, selezionata con attenzione, sottolinea la distanza tra l’apparenza e la realtà. Emblematica è la versione punk di “I Will Survive” dei Cake, che fa da controcanto ironico a esistenze che non sopravvivono affatto. Alcuni brani, cantati direttamente da Servillo, danno ulteriore spessore al personaggio del cantante in declino. Il titolo del film non è solo un gioco di parole. Allude a una condizione esistenziale profonda: l’essere “in più”, quando si è all’apice, idolatrati, irraggiungibili, si trasforma presto nell’essere “di troppo” una volta persa la funzione sociale. È il paradosso del successo: basta poco per perdere tutto, e quasi nulla basta a ritrovare un posto nel mondo. Il riscatto, in questo film, è sempre sfiorato ma mai davvero conquistato.

Questo film non è solo l'inizio di carriera di Paolo Sorrentino. Lo si può considerare un vero e proprio manifesto artistico. I temi, che ritroveremo poi anche nei suoi film successivi, sono presenti fin dall'inizio. Anche qui, infatti, ritroviamo la malinconia del tempo che passa e la solitudine delle star. Ancora, c'è anche l'impossibilità di tornare indietro dopo gli anni trascorsi. La regia è particolarmente misurata, ma al tempo stesso ambiziosa. La scrittura è tagliente e i dialoghi talmente precisi che coinvolgono fin dalle prime scene. Niente è superfluo e tutto ha un peso.