Riceviamo a pubblichiamo la lettera di sfogo arrivataci da un nostro lettore, Marco, professione corriere. La sua pessima esperienza con un cliente e la riflessione che condivide con noi
"Mi chiamo Marco e sono un corriere, uno di quelli che vedete sfrecciare per le strade con il furgone pieno di pacchi, sempre di corsa, sempre con lo sguardo fisso sull’orologio. Scrivo questa lettera per condividere una recente esperienza che mi ha profondamente amareggiato e per invitare tutti a riflettere sull'importanza del nostro lavoro, troppo spesso sottovalutato. Qualche giorno fa, ho consegnato un pacco a un indirizzo in un elegante quartiere residenziale. Suono il campanello e aspetto, sotto la pioggia battente, con il pacco in mano. Dopo un lungo silenzio, una voce irritata risponde dall'interfono: “Chi è?”. Mi presento, spiegando che ho un pacco da consegnare, ma dall'altra parte si percepisce chiaramente un tono di fastidio. “Non potevate consegnarlo in un altro momento? Stavo riposando,” mi dice la voce".
"Provo a mantenere la calma e chiedo se posso lasciarlo davanti alla porta. “No, sali su, non posso venire giù,” ribatte con tono imperioso. Nonostante non sia previsto dal nostro regolamento, salgo i quattro piani a piedi (l'ascensore era fuori servizio), con il pacco pesante tra le braccia. Arrivato davanti alla porta, vengo accolto da un sguardo gelido. La persona prende il pacco senza nemmeno un “grazie”, e si limita a chiudere la porta in faccia. Niente saluto, niente riconoscimento per il mio sforzo".
"Il lavoro del corriere è essenziale: portiamo a casa vostra tutto ciò di cui avete bisogno"
"Quest'episodio, per quanto possa sembrare banale, mi ha lasciato un amaro in bocca difficile da descrivere. Ogni giorno, noi corrieri lavoriamo sotto il sole cocente, la pioggia, il vento, rispettando orari strettissimi e gestendo centinaia di consegne. Il nostro lavoro è essenziale: portiamo a casa vostra tutto ciò di cui avete bisogno, spesso con tempi record. Eppure, troppo spesso veniamo trattati come invisibili, come se fossimo semplici ingranaggi di una macchina, senza sentimenti, senza dignità".
La lettera del nostro lettore Marco si conclude con una "richiesta non complicata: vorrei che tutti iniziassero a riconoscere il valore del nostro lavoro. Un “grazie”, un sorriso, o anche solo un po' di cortesia possono fare una differenza enorme. Noi siamo persone, non numeri o robot. Non chiediamo privilegi, ma rispetto. Grazie per avermi dato l’opportunità di raccontare la mia storia. Spero che queste parole possano toccare il cuore di qualcuno e contribuire a cambiare il modo in cui viene percepita la nostra professione".