Il 19 febbraio partirà la missione europea Aspides che vede l'Italia in prima linea, insieme a Francia e Germania, nella difesa della libertà di navigazione nel Mar Rosso. La missione arriva in seguito agli attacchi degli Houthi dello Yemen contro le navi mercantili in transito nel Mar Rosso che hanno paralizzato il commercio marittimo internazionale. Il nostro Paese gestirà il comando tattico e ha inviato nella zona delle operazioni il cacciatorpediniere Caio Duilio. A questo proposito, abbiamo intervistato il generale Paolo Capitini, docente di Storia militare alla Scuola Sottufficiali dell'Esercito di Viterbo, che ci ha parlato non solo dell'imminente missione, ma anche della situazione generale in Medio Oriente.
Buongiorno generale, cosa dobbiamo aspettarci dalla missione Aspides? Lei crede che il rischio di ingaggio dell'Italia in attività a fuoco sia reale oppure no?
"Bisogna presumere che se invio un'unità militare a capo di una squadra navale il rischio sia più che concreto. C'è la necessità di usare la forza per garantire un diritto. Il diritto è sancito dalla Convenzione sulla libertà di navigazione (Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del mare del 1982, ndr) che a un certo articolo dice che qualora venga messa in pericolo la libertà di navigazione in mare aperto è diritto degli Stati rimuovere gli ostacoli alla navigazione. Quindi, c'è una base legale pluridecennale. Sull'impiego di queste unità bisognerebbe avere il registro delle regole di ingaggio.
Le missioni vengono costruite attraverso una serie di discussioni tra Stati maggiori e Governi in cui si configurano delle ipotesi operative. Il comandante della missione non ha tutta la libertà che vuole, anche perché gli viene affidato solo il controllo tattico, un grado di potere molto limitato. Può fare solo quello che gli è stato autorizzato di fare, né più né meno. Questo è il motivo per cui l'Unione Europea non si è unita alla missione angloamericana (Prosperity Guardian, ndr): non si è trovato l'accordo sulle regole di ingaggio".
Il motivo dietro la missione militare europea nel Mar Rosso
Recentemente, in un'intervista a La Repubblica, un alto esponente politico degli Houthi ha detto che, se l'Italia parteciperà a questa missione nel Mar Rosso, diventerà un bersaglio. Lei come ha interpretato queste affermazioni? C'è la possibilità di attacchi degli Houthi contro le navi italiane o di attacchi terroristici su territorio italiano?
"Le possibilità ci sono sempre tutte, però se si parla di probabilità il discorso cambia. I servizi di sicurezza e gli organi di polizia hanno sicuramente vagliato la possibilità di attacchi (sul territorio italiano, ndr). Ed eventualmente hanno trasmesso l'avviso al Governo. Però si tratta di bilanciare rischi e opportunità. Quello che sta accadendo nel Mar Rosso porta a un decadimento del traffico nel canale di Suez del 40%.
Appena si esce da Suez si incontrano due porti, quello del Pireo e quello di Gioia Tauro. Poi ci sono Genova e Trieste. Lo stesso vale con il Sud della Francia e il porto di Marsiglia. Per questo i Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo sono sensibili affinché le cose non trascendano oltre una certa misura. Il Mediterraneo è un mare che collega l'Atlantico con il Pacifico. Per questo è un mare strategico e se qualcuno rallenta o ostacola il transito e ridisegna le rotte intorno all'Africa, il danno economico, commerciale è sensibile. Tutte queste cose qua vanno rapportate ai rischi che si possono correre".
Oltre la missione Aspides: il generale Paolo Capitini sulla situazione in Medio Oriente
La missione italiana nel Mar Rosso è una conseguenza diretta di questa continua escalation che sta vivendo il Medio Oriente in seguito all'attentato terroristico di Hamas contro Israele del 7 ottobre scorso. Dalla Striscia di Gaza la destabilizzazione sta colpendo tutta la regione. Lei crede che in futuro prossimo assisteremo a ulteriori escalation o la situazione rientrerà nella normalità?
"Se guardiamo ai giorni passati, sembra più un botta e risposta, piuttosto che seguire un disegno preciso. Stati Uniti e Iran, messi di fronte a un atto di forza, hanno il dovere di reagire per dimostrare che non sono d'accordo. Ma, sono tutti movimenti al minimo indispensabile. Bisogna vedere l'intensità. Sono tutti su una linea di obbligo di risposta ma la volontà di reagire è molto contenuta. Grandi attori come Egitto, Giordania e Arabia Saudita sono completamente assenti. Contemporaneamente si sta sviluppando un'attività diplomatica che non si vedeva così da 20-30 anni. Il segretario di Stato americano sta praticamente vivendo in Medio Oriente. Questo da l'idea di dove si vuole andare a parare. E' una situazione grave che va tenuta sotto controllo".
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