Cosa significa accumulare sempre un mucchio di vestiti sulla sedia? Secondo la psicologia non si tratta di un comportamento a caso, ma nasconde alcuni aspetti della personalità.
C’è una scena familiare in molte case: una sedia in camera da letto che, giorno dopo giorno, si trasforma in un mucchio di vestiti. Non abbastanza sporchi da finire in lavatrice, ma neppure ordinati al loro posto. Una pila che cresce silenziosamente, quasi a diventare parte dell’arredamento. Ma cosa significa, davvero, questo gesto ripetuto? Secondo la psicologia, più di quanto si immagini.
Cosa significa davvero accumulare vestiti su una sedia? La risposta della psicologia
Uno dei motivi principali per cui si accumulano vestiti su una sedia è la procrastinazione. Quel piccolo gesto, riporre un maglione nell’armadio, viene continuamente rimandato. Sembra banale, eppure per molte persone rappresenta una vera e propria barriera. La mente, oberata da mille pensieri e impegni, percepisce anche le attività più semplici come ostacoli faticosi. Il risultato? Una sedia sommersa di vestiti, che diventa simbolo di azioni sospese. Chi soffre di procrastinazione spesso trascura questi dettagli, convinto che “ci penserà dopo”. E quel “dopo” non arriva mai. Il disordine si accumula come i pensieri non risolti. Uno studio pubblicato su Cognitivismo Clinico da Salvatori nel 2017, riassume e fa un'analisi approfondita sule diverse cause che portano proprio alla procrastinazione, indicando prevalentemente fattori come ansia e stress.

Molti, del resto, ammettono che, dopo una giornata intensa, non hanno energie per rimettere a posto i vestiti. Il desiderio di rilassarsi prende il sopravvento su quello di sistemare. In questi casi, la sedia diventa un rifugio temporaneo: accoglie ciò che non si ha voglia di affrontare. Non è solo pigrizia. Spesso è un campanello d’allarme. Il disordine che si crea è lo specchio di uno stato interiore: sentirsi sopraffatti, stanchi, mentalmente scarichi. Accumulare abiti può essere il segnale silenzioso di un bisogno di tregua, di rallentare.
Per altri, il gesto è semplicemente abitudine. Magari si cresce in ambienti dove l’ordine non è mai stato una priorità, oppure si vive una vita talmente frenetica da non riuscire a creare una routine stabile. La sedia colma di abiti diventa una costante, un angolo “neutro” della casa dove nulla è al posto giusto ma tutto è facilmente accessibile. In questo contesto, il disordine non è vissuto come un problema, ma come un compromesso accettabile tra funzionalità e caos. Quando la mente è affaticata, anche l’ambiente intorno a noi ne risente.
Il legame con lo stress
Chi attraversa periodi di forte stress o squilibrio emotivo tende ad accumulare più oggetti. Il disordine può essere un modo per esternare l’instabilità interiore, una manifestazione concreta di pensieri confusi o ansiosi. Uno studio condotto dal National Institute of Aging ha dimostrato come vivere in un ambiente caotico può essere correlato all’aumento dei livelli di ansia e non solo. Anche a disturbi del sonno e perfino a un aumento di peso. Il nostro cervello, immerso nel disordine, fatica a trovare pace.
C’è anche un altro aspetto, meno evidente ma profondo: l’attaccamento emotivo agli oggetti. Secondo la psicologa inglese Emma Kenny, i vestiti spesso rappresentano più di semplici capi da indossare. Possono ricordare momenti significativi, fasi della vita, parti della nostra identità. Evitare di sistemarli, lasciarli in bella vista, può essere un modo inconscio per non affrontare certi ricordi. Rimandare il riordino diventa un modo per evitare emozioni difficili. In questi casi, ogni abito sulla sedia ha un suo perché, anche se invisibile.
Non tutti i significati dietro questo comportamento sono negativi. In molti casi, la sedia viene utilizzata per comodità: ci si appoggiano i vestiti che si prevede di rimettere presto. Non c’è nessuna implicazione emotiva o psicologica profonda, ma solo praticità quotidiana. Una scorciatoia per risparmiare tempo. Le valutazioni psicologiche, infatti, sono studi universali che non devono valere necessariamente per tutti. Ogni persona, del resto, è a sé e soprattutto ha le proprie abitudini personali.