Luca Marinelli incanta su Netflix con questo film, diviso in due puntate: una storia vera che non può lasciare indifferenti.
La televisione italiana, con Fabrizio De André – Principe libero, ha compiuto un’operazione rara: raccontare la vita di un artista così amato e complesso senza scivolare nel santino o nella cronaca. Diretta da Luca Facchini e interpretata da un magnetico Luca Marinelli, la miniserie del 2018 prodotta da Rai Fiction e Bibi Film è andata in onda su Rai 1 in due serate evento, dopo una breve ma intensa apparizione nelle sale cinematografiche. Il risultato è un viaggio emotivo e lirico, tanto potente quanto rispettoso, nella vita di uno dei cantautori più influenti e amati della musica italiana.
La narrazione si apre con un episodio traumatico e profondamente umano: il sequestro di De André e della compagna Dori Ghezzi in Sardegna nel 1979. Un evento che scuote e cattura sin da subito l’attenzione, diventando la cornice perfetta per un lungo flashback che attraversa la vita dell’artista. La scelta narrativa non è casuale. Quel momento, sospeso tra paura e introspezione, diventa il punto da cui si dipana il ritratto di un uomo che ha sempre rifiutato le convenzioni, cercando nel dolore e nella marginalità la propria verità. Il film è disponibile su Netflix ed è un vero e proprio regalo per i telespettatori.
Su Netflix il grande Luca Marinelli: la storia vera di Fabrizio De André
Si parte con un flashback che accompagna il telespettatore attraverso l’infanzia borghese di Fabrizio. Poi, ancora si scoprono gli studi universitari abbandonati, gli incontri decisivi con personaggi come Paolo Villaggio e Luigi Tenco, fino alla scoperta della musica come urgenza espressiva. L’amore per la parola, la poesia e le storie degli ultimi diventano il filo conduttore della sua crescita artistica. L’arrivo del figlio Cristiano, il divorzio da Puny e il legame profondo con Dori Ghezzi segnano le tappe più intime di un’esistenza in continua trasformazione.

Luca Marinelli offre una performance da antologia. Il suo De André non è una copia, ma una reinvenzione che emoziona. La voce roca, l’andatura irregolare, lo sguardo inquieto: tutto contribuisce a costruire un personaggio credibile, che restituisce tanto il mito quanto l’uomo. Marinelli non si limita a imitare, ma abita De André con una sensibilità rara, svelandone le contraddizioni, la malinconia, la ribellione, la tenerezza. Se amate questo attore, non potete perdere un altro grande film con lui protagonista.
Accanto a lui, Valentina Bellè incarna una Dori Ghezzi luminosa e intensa, mai relegata al semplice ruolo di compagna del genio. Ennio Fantastichini, nei panni del padre Giuseppe, porta in scena il conflitto generazionale e sociale che ha segnato la giovinezza del cantautore. Il cast, completato da nomi come Elena Radonicich e Davide Iacopini, sostiene con forza e delicatezza l’impalcatura emotiva del racconto.
Perché vale la pena vederlo
La sceneggiatura firmata da Francesca Serafini e Giordano Meacci, con la supervisione diretta di Dori Ghezzi, sceglie una via più difficile ma autentica: mostrare De André per quello che era, con luci e ombre. Nessuna beatificazione, nessuna semplificazione. L’uomo che emerge è fragile, a volte tormentato, spesso indeciso, ma sempre mosso da un’urgenza interiore che trova nella musica e nella poesia il suo canale espressivo più vero. La miniserie, che è in realtà un vero e proprio film, diviso in due parti, riesce a raccontare anche la Sardegna non solo come sfondo geografico, ma come scelta esistenziale.
La terra che accoglie De André e Dori dopo il sequestro diventa simbolo di rinascita e radicamento, un luogo che incarna la sua tensione verso un’esistenza più autentica, lontana dai riflettori. Il successo di pubblico e critica ha confermato la forza di questo progetto. La fiction è stata capace di parlare anche a chi conosceva solo superficialmente l’opera di De André, introducendo un’intera generazione a un patrimonio culturale che continua a vivere. Lo fa, inoltre, con un tono adatto a tutti, semplice ma al contempo molto elevato. Le tre candidature ai David di Donatello hanno consacrato il valore artistico della miniserie, che ha saputo unire racconto televisivo e rigore cinematografico.