Moltissime persone hanno bisogno di coccole e di affetto, ma non tutti riescono a chiederle. Perché c'è chi ne ha bisogno e non riesce a chiederle, e cosa significa? Ecco la risposta della psicologia.
Chi prova un desiderio profondo di coccole ma non riesce a manifestarlo vive una contraddizione affettiva intensa, che affonda le radici nella psicologia dello sviluppo e nelle dinamiche relazionali apprese sin dall’infanzia. Non si tratta di una semplice difficoltà a comunicare, ma spesso di una vera e propria resistenza emotiva costruita su anni di esperienze, condizionamenti culturali e insicurezze interiori. Alla base di questo comportamento, come spiegano autori quali Lisa Fritscher dell'Università della Florida del Sud, in un articolo per la rivista Verywell Mind, si trovano spesso tratti come la paura dell’intimità, che induce a evitare ogni forma di esposizione affettiva per timore di essere feriti o rifiutati. Questi individui non disprezzano la vicinanza, ma la associano a un rischio psicologico troppo alto da sopportare. Il contatto, quindi, viene desiderato ma al tempo stesso percepito come una possibile minaccia alla propria stabilità emotiva.
Un secondo elemento fondamentale è lo stile di attaccamento evitante, ben descritto dalla teoria dell’attaccamento di John Bowlby e Mary Ainsworth, di cui parlano anche gli esperti Kristina M. Schrage, Jessica A. Maxwell e Geoff MacDonald, nei loro studi pubblicati per il Personality and Social Psychology Bulletin. Questo modello affettivo porta il soggetto a reprimere i propri bisogni, temendo che la dipendenza emotiva possa renderlo vulnerabile o addirittura invadere il proprio spazio identitario. Il bisogno di autonomia viene così protetto a scapito del contatto affettuoso, che viene soppresso anche se intensamente presente.
Origini profonde e impatti culturali: il bisogno di coccole origina dall'infanzia
In molti casi, la difficoltà a chiedere coccole è collegata a una bassa autostima. Chi si percepisce come “non meritevole” di affetto finisce per autocensurarsi. Il timore di essere un peso o di risultare inopportuni blocca ogni impulso verso la richiesta di vicinanza. Questo tipo di vissuto è spesso il risultato di una carenza di affetto durante l’infanzia, in contesti familiari dove l’emotività veniva trascurata, minimizzata o addirittura punita, come spiega anche Suzanne Degges-White, professoressa all'Università dell'Illinois del Nord. Anche le esperienze traumatiche giocano un ruolo cruciale.

I condizionamenti culturali e di genere contribuiscono ulteriormente al quadro. Secondo lo studio 'Social barriers to emotional expression and their relations to distress in male and female cancer patients', pubblicato su PubMed, gli uomini, ad esempio, sono spesso educati a reprimere i propri bisogni emotivi per non apparire deboli. Le donne, invece, possono interiorizzare il timore di essere giudicate bisognose o troppo sensibili se esprimono apertamente il bisogno di coccole. Questi modelli di comportamento si consolidano nel tempo, trasformandosi in veri e propri automatismi emotivi difficili da scardinare.
Il profilo psicologico delle persone che hanno bisogno di coccole ma non riescono a chiederle è, dunque, spesso caratterizzato da sensibilità ed empatia, ma anche da una scarsa abitudine a dirigere queste qualità verso sé stesse. Si tratta di individui riflessivi, spesso perfezionisti, che temono di deludere gli altri e tendono a porsi aspettative molto elevate. Questa autoesigenza li spinge a minimizzare i propri bisogni, alimentando un ciclo di autosvalutazione e isolamento affettivo. Talvolta, come sottolinea anche la dottoressa Sheri Jacobson per Harley Therapy, si alternano tratti ansiosi e evitanti, generando un comportamento ambivalente: il desiderio di vicinanza convive con la paura della stessa. Questo rende difficile non solo la richiesta, ma anche la ricezione dell’affetto quando questo viene offerto.
Verso un cambiamento possibile
Superare queste difficoltà non è impossibile, ma richiede un lavoro paziente e profondo su sé stessi. La consapevolezza emotiva rappresenta il primo passo: imparare a riconoscere e dare un nome ai propri bisogni permette di iniziare un percorso di maggiore autenticità affettiva. Tecniche come l’uso del “Wheel of Emotions” dello psicologo Robert Plutchik possono aiutare a esplorare e comprendere meglio il proprio mondo interiore. La Wheel of Emotions di Robert Plutchik è un modello che rappresenta otto emozioni primarie — come gioia, paura, tristezza o rabbia — disposte in cerchio secondo somiglianza o opposizione. Ogni emozione può variare per intensità e combinarsi con altre per formare emozioni più complesse, come l’amore (gioia + fiducia).
Questo strumento, usato in psicologia e coaching, aiuta a identificare e comprendere meglio le proprie emozioni, facilitando intelligenza emotiva, consapevolezza e capacità comunicativa. È utile per imparare a gestire i sentimenti e migliorare il rapporto con sé stessi e con gli altri. Il rafforzamento dell’autostima è un altro passaggio chiave: riconoscere il proprio valore come persone meritevoli di amore e attenzioni è un processo che si costruisce nel tempo, con il supporto – se necessario – di professionisti della salute mentale.
La terapia cognitivo-comportamentale o quella focalizzata sulle relazioni possono fornire strumenti efficaci per sciogliere i nodi emotivi più profondi. Infine, coltivare la compassione verso sé stessi aiuta a smussare i sensi di colpa e la vergogna che spesso accompagnano la richiesta di affetto. Accettare i propri limiti e desideri con gentilezza permette di riconoscere che chiedere coccole non è debolezza, ma un atto di profonda umanità.