Veneto, colloquio di lavoro da incubo: "Non succede solo alle donne"

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un nostro lettore dal Veneto: un colloquio di lavoro infelice, a causa dei commenti ricevuti dalla capa

"Mi chiamo Andrea, ho 27 anni, e scrivo questa lettera per raccontare un episodio che mi ha lasciato amareggiato e confuso. Un fatto che mi ha fatto riflettere su quanto spesso ci si dimentichi che il rispetto, soprattutto in un ambiente professionale, non può e non deve avere un genere. Durante un colloquio di lavoro per una posizione nel settore della comunicazione, mi sono trovato di fronte a un'esperienza che non mi sarei mai aspettato. La responsabile delle risorse umane, una donna sulla quarantina, mi ha fatto più volte dei commenti sul mio aspetto fisico. Prima una battuta sul mio sorriso “da attore”, poi un’osservazione sul fatto che con "quel fisico" sarei potuto essere tranquillamente in copertina di una rivista. Lì per lì ho sorriso, cercando di mantenere il tono leggero, ma dentro sentivo disagio. Avrei voluto che si parlasse delle mie competenze, del mio percorso, non dei miei tratti estetici".

"Non sono ingenuo: so che a molte donne capita ogni giorno di ricevere commenti simili, spesso molto peggiori. So anche che, in molti casi, quelle parole hanno conseguenze ben più gravi, perché legate a dinamiche di potere e discriminazione sistemica. Ma questo non significa che simili comportamenti, quando rivolti agli uomini, siano innocui o accettabili. Quando un giudizio sul proprio corpo prende il posto di una valutazione professionale, qualcosa si spezza. Ci si sente ridotti a un'apparenza, a un oggetto. Non è una questione di "non saper stare allo scherzo", è che un colloquio di lavoro non è il contesto per sentirsi giudicati in quel modo. E non dovrebbe mai esserlo, per nessuno".

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"La mia esperienza al colloquio di lavoro: una cultura del rispetto non è una battaglia di genere"

"Quello che più mi ha colpito è stato il senso di solitudine nel raccontare l’accaduto. Quando l’ho detto a un amico, ha alzato le spalle: “Beh dai, ti ha fatto un complimento!”. Ma non era un complimento. Era un’invasione, fatta in un contesto dove il potere non era mio. Scrivo non per accusare, ma per ricordare che la cultura del rispetto non deve essere selettiva. Se oggi esiste (giustamente) una crescente attenzione verso le molestie e i comportamenti inadeguati subiti dalle donne, dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che, seppure con minor frequenza e gravità, anche gli uomini possono vivere esperienze scomode, offensive, svalutanti".

"Non sto paragonando il mio vissuto a quello di tante donne che subiscono quotidianamente discriminazioni ben più profonde. Ma vorrei che si comprendesse che il rispetto va difeso sempre, da chiunque e verso chiunque. La direzione giusta non è quella di ridicolizzare chi denuncia, ma di ascoltare, riconoscere e imparare. Anche gli uomini devono sentirsi liberi di raccontare esperienze di disagio senza paura di essere derisi o minimizzati. Se davvero vogliamo costruire ambienti di lavoro più sani, dobbiamo imparare a vedere oltre gli stereotipi, accettando che certi comportamenti sono inaccettabili a prescindere da chi li compie o da chi li subisce".