Riceviamo e pubblichiamo la lettera ricevuta da una nostra lettrice dal Piemonte. Il suo colloquio di lavoro in un negozio del Piemonte:
Piemonte, primavera 2025. In un’Italia dove la dignità lavorativa dovrebbe essere scontata, accade ancora che una ragazza debba scegliere tra un lavoro e il rispetto di sé stessa. La lettera che pubblichiamo arriva da una giovane ventiseienne, diplomata, con alle spalle qualche anno di esperienza nel settore vendite. Ha risposto a un annuncio per un posto da commessa in un negozio di abbigliamento nel centro di una cittadina piemontese. Pensava di dover parlare di turni, orari, disponibilità. Invece il colloquio ha preso tutt’altra piega.
"Non mi ha neanche chiesto il curriculum. Mi ha scrutata da capo a piedi e ha detto: "Hai il fisico giusto per lavorare qui. Ma devi sapere una cosa: qui le vendite le facciamo anche con il sorriso e con un abbigliamento che… attiri l’occhio". Poi ha aggiunto, senza troppi giri di parole: "Se ti metti qualcosa di più scollato o corto, i clienti tornano. Fidati"».
Uno shock, racconta la ragazza, che inizialmente pensava di aver frainteso. Ma quando ha ribadito che voleva essere valutata per le sue competenze, il titolare ha liquidato la conversazione con un sorriso ironico: "Non sei il profilo adatto, mi dispiace".
"Quando al colloquio di lavoro ti dicono chiaramente che devi sfruttare il tuo corpo per ottenere un contratto, è troppo"
"So che non sono la sola, e questo mi fa ancora più rabbia. Siamo abituate a certi commenti, certe allusioni, ma quando ti dicono chiaramente che devi sfruttare il tuo corpo per ottenere un contratto, è troppo", scrive la nostra lettrice. "Non voglio che la mia dignità sia il prezzo da pagare per lavorare. Voglio che qualcuno legga e capisca che queste cose non devono succedere più. Che un colloquio è un momento serio, non un casting per un ruolo in una farsa di cattivo gusto".
L’episodio che ci racconta la nostra lettrice sottolinea una realtà spesso taciuta: la violazione dei diritti sul lavoro in fase di selezione. Il caso piemontese è solo uno dei tanti che rimangono sommersi, eppure rivela molto di una cultura che ancora fatica a riconoscere il valore delle donne fuori dagli stereotipi. Le parole della ragazza colpiscono perché sono lucide, non gridate. Non c’è vittimismo, ma una richiesta semplice: essere giudicata per ciò che so fare, non per come appaio.