Torino, la testimonianza di un ristoratore in tv: la difficoltà sempre crescente di reperire camerieri
Negli ultimi anni, in particolare dopo la pandemia da Covid-19, il settore della ristorazione ha dovuto affrontare un cambiamento epocale: non si trovano più camerieri come un tempo. Non si tratta solo di una questione economica, ma culturale. Il concetto di gavetta, un tempo accettato come tappa obbligata per entrare nel mondo del lavoro, oggi è vissuto come una forma di sfruttamento. Le nuove generazioni rifiutano stage non retribuiti, turni estenuanti e lavori serali o festivi senza un’adeguata compensazione. L’esperienza della pandemia ha accelerato questa trasformazione: con la chiusura forzata dei locali, molti lavoratori del settore si sono reinventati in altri ambiti, spesso digitali, dove il rapporto tra tempo investito e ritorno economico è più favorevole.
Questo ha generato un vuoto occupazionale in alcuni settori, e quello della ristorazione risulta, appunto, tra i più colpiti. I ristoratori denunciano la mancanza di personale qualificato o semplicemente disponibile. Ma è davvero colpa dei giovani “che non hanno voglia di lavorare”? O è il sistema che non è più in grado di offrire condizioni sostenibili?
Una testimonianza contraria a questa teoria è stata raccolta oggi a Mattino Cinque, morning show di Canale 5. Nell'ambito di un dibattito sul mondo del lavoro, in diretta con lo studio, in cui a intervistarlo c'era Francesco Vecchi, un ristoratore da Torino.

Torino, ristoratore denuncia: "Nessuno vuole più fare questo lavoro"
Paolo Zago, il nome del ristoratore di Torino intervistato in diretta a Mattino Cinque, su Canale 5. Zago, spiega, ha un ristorante "proprio nel quadrilatero romano di Torino, quindi proprio nella zona della movida, dove è pieno di turisti. Raggruppiamo circa 180 tra bar, cocktail bar, botteghe, etc. E per tutti è difficile trovare delle persone che abbiano voglia di lavorare, signori: è questa la verità. Questo lavoro non piace più. Perché bisogna lavorare di sera e bisogna lavorare durante il weekend: è così, è sempre stato così. Non penso sia una questione di soldi: quando si cercano delle persone si parla di contratti regolari, per cui non è un fatto di soldi, ma un fatto puramente di voglia. Attenzione: non sto dicendo che non ce ne siano, perché ci sono dei ragazzi che vogliono lavorare eccome, ma sono una minoranza. Prima del Covid in questa stagione arrivavano un centinaio di curricula. Ora, se ne arrivano dieci è tanto".
Zago tocca un punto fondamentale: il Covid. La pandemia ha rappresentato uno spartiacque: dopo mesi in cui il tempo sembrava sospeso, molti giovani hanno ricalibrato le proprie priorità. L’idea di lavorare dodici ore al giorno per uno stipendio minimo, senza tutele o possibilità di crescita, è percepita come inaccettabile. La mancanza di contratti regolari e la cultura ancora diffusa del “lavoro in nero” aggravano ulteriormente la situazione. E così, anche quando le offerte ci sono, non incontrano le aspettative del mercato del lavoro attuale. Forse, il punto di vista dei 'giovani d'oggi' non è poi così incomprensibile.