Riceviamo e pubblichiamo la lettera ricevuta da una nostra lettrice, che denuncia quanto le è capitato durante un colloquio di lavoro
In rispetto della sua richiesta, non condividiamo il nome, ma solo il testo integrale della lettera ricevuta da una nostra lettrice, che ci scrive dalla Lombardia per denunciare quanto le è capitato nel corso di un colloquio di lavoro.
"Vi scrivo per condividere un’esperienza che, purtroppo, temo sia rappresentativa della realtà che molti giovani affrontano quando cercano di entrare nel mondo del lavoro. Recentemente, ho partecipato a un colloquio per una posizione che speravo potesse rappresentare un trampolino di lancio per la mia carriera. Purtroppo, ciò che ho vissuto è stato tutt’altro che incoraggiante. Appena sono entrata nella sala del colloquio, il responsabile mi ha squadrata dalla testa ai piedi e, con un sorriso sarcastico, ha esordito con una frase che ancora oggi mi rimbomba nella testa: "Non sembri proprio il tipo da questo lavoro, ma vediamo cosa sai fare." In quel momento ho capito che non avrei avuto alcuna possibilità di essere valutata per le mie competenze o per ciò che avrei potuto offrire all’azienda. Il giudizio era già stato emesso, basato su pregiudizi superficiali".
"Vi racconto il mio colloquio di lavoro": la lettera di una nostra lettrice
"L’intero colloquio si è svolto in un clima di sufficienza e mancanza di rispetto. Domande personali irrilevanti si sono alternate a commenti sprezzanti sul mio curriculum, come se il mio percorso accademico e le mie esperienze fossero prive di valore. Ho lasciato quella stanza con un senso di umiliazione profonda e la consapevolezza che il problema non fossi io, ma un sistema che troppo spesso tratta i giovani come numeri o, peggio ancora, come esseri inferiori".
"Questa esperienza mi ha spinto a riflettere su quanto sia diffusa questa dinamica. Quanti altri giovani vengono scoraggiati o trattati con sufficienza solo perché sono all’inizio del loro percorso? Quante volte ci sentiamo dire che dobbiamo "essere grati" anche solo per avere avuto l’opportunità di un colloquio, come se il rispetto e la dignità fossero optional? È ora di cambiare questa mentalità. I giovani non sono semplicemente risorse da sfruttare o numeri da incasellare in statistiche aziendali. Siamo persone con sogni, ambizioni e competenze che meritano di essere riconosciute. Chiedo alle aziende e ai responsabili delle risorse umane di riflettere sul loro approccio: un colloquio dovrebbe essere un momento di dialogo costruttivo, non un’occasione per demolire l’autostima dei candidati. Spero che condividere questa esperienza possa accendere una luce su una problematica troppo spesso ignorata. Il rispetto è alla base di ogni relazione umana, inclusa quella professionale".