Non parliamo di mantenimento, ma del caso in cui marito e moglie siano ancora sposati: ecco quando non dare soldi è equivalente a commettere un reato, secondo la Corte di Cassazione.
In caso di mancato pagamento dell’assegno di mantenimento dopo il divorzio, l’ordinamento italiano prevede conseguenze anche di natura penale. Due sono le fattispecie di reato coinvolte: la violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.) e l’omesso versamento dell’assegno di mantenimento (art. 570-bis c.p.), introdotto nel 2018. Il primo punisce chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minorenni, agli ascendenti o all’ex coniuge. La sanzione prevista è la reclusione fino a un anno o la multa da 103 a 1.032 euro. Il secondo articolo, più specifico, si rivolge espressamente all’obbligato che non versa quanto stabilito a seguito di divorzio. Anche in questo caso, le pene previste sono identiche a quelle dell’art. 570.
Diversa è la disciplina in caso di separazione, dove il vincolo matrimoniale resta formalmente in vigore. Il coniuge cui non sia addebitabile la separazione ha diritto a un assegno di mantenimento volto a preservare il tenore di vita goduto durante il matrimonio. Nel divorzio, invece, l’assegno ha funzione compensativa e assistenziale, mirando all’autosufficienza. Il giudice, nel determinare l’assegno in sede di separazione, considera la situazione economica di entrambi i coniugi, le motivazioni della rottura, nonché il contributo offerto alla vita familiare. È possibile anche prevedere un mantenimento diretto, soprattutto nei casi di affido alternato. Le condizioni stabilite possono essere modificate in caso di mutamenti rilevanti. Infine, resta invariato per entrambi i genitori l’obbligo di mantenimento verso i figli, indipendentemente dalle vicende relative all’assegno destinato al coniuge.
Non dare i soldi alla moglie è reato: ecco in quale caso e per quale motivo
In questo articolo, però, parliamo di un'altra fattispecie di reato, che non si configura in caso di separazione o di divorzio, ma quando marito e moglie sono ancora uniti dal vincolo del matrimonio. A parlare di questo reato è stato un noto esperto di legge italiana, l'avvocato divorzista Matteo Ruffinotti. In particolare, l'esperto ha spiegato che con la sentenza n. 1268/2025, la Corte di Cassazione ha stabilito che il controllo sistematico e oppressivo delle finanze della moglie da parte del marito può configurare il reato di maltrattamenti in famiglia, previsto dall’art. 572 del Codice Penale. In questo senso, dunque, non dando i soldi alla moglie, il marito commette reato.
La pronuncia si riferisce a contesti non legati alla separazione o al divorzio, ma a situazioni in cui il marito esercita un dominio assoluto sulle risorse economiche, impedendo alla coniuge di gestire in autonomia il proprio denaro. Si tratta, secondo i giudici, di una condotta reiterata e coercitiva, che lede gravemente la libertà individuale della vittima e si inserisce in un quadro più ampio di prevaricazione domestica. Inoltre, la Corte ha chiarito che quando tale comportamento diventa uno strumento di controllo, volto a limitare l’indipendenza e l’autodeterminazione della persona, non può essere banalizzato come un semplice disaccordo familiare. In queste circostanze, il comportamento assume una connotazione penalmente rilevante, potendo essere qualificato come maltrattamento sistematico e non come un episodio isolato.+

Infine, l'avvocato spiega che decisione sottolinea l'importanza di tutelare la libertà economica all’interno della relazione coniugale, riconoscendo che anche il controllo finanziario può costituire una forma di violenza domestica. In presenza di simili dinamiche oppressive, la giurisprudenza invita a non sottovalutare il peso delle privazioni economiche come mezzo di assoggettamento psicologico e personale.