Milano, pastore lamenta la carenza di personale: "La prima cosa che i giovani ti chiedono"

La testimonianza di un giovane pastore di Milano

Si torna a parlare in tv dei giovani e della loro presunta voglia zero di lavorare. L'occasione è l'intervista, realizzata da Mattino Cinque, a un pastore 30enne di Milano. Sotto la responsabilità di Morgan, questo il suo nome, circa 500 capi di bestiame: il giovane sembra felice del suo mestiere, soddisfatto. E alla domanda del perché, secondo lui, le nuove generazioni sembrano davvero poco interessate a questo mestiere, la sua risposta apre una riflessione interessante. Il pastore dice: "Manca un po' la voglia di imparare questi mestieri che bisognerebbe tenere, e portare avanti. Perché penso che siano fondamentali per un futuro. Quando senti i giovani che chiami quando hai bisogno, le prime cose che ti chiedono sono subito: quanto mi dai al mese? Sabato non ci sono, domenica non ci sono, martedì ho la palestra, mercoledì ho il concerto. Questo qui è un mestiere che devi star qui 24 su 24, 365 giorni l'anno".

Una risposta che mette in luce una tendenza ormai consolidata: i giovani si allontanano sempre più da lavori manuali e tradizionali. Questo fenomeno, che interessa professioni come quello dell'intervistato, il mondo dell'agricoltura, del commercio, l'artigianato, spesso viene visto con toni nostalgici o accusatori. Lo stesso tono del pastore milanese sembrerebbe di biasimo verso le nuove generazioni. Ma se provassimo a guardare il fenomeno da un’altra prospettiva?

Pastore milanese: "I giovani oggi chiedono solo quanto guadagneranno"

Le nuove generazioni crescono in un mondo in cui lo studio e la conoscenza sono sempre più accessibili, in cui si punta a lavori che valorizzino il pensiero critico e l’innovazione. È naturale, quindi, che molti giovani preferiscano percorsi diversi da quelli che hanno sostenuto per generazioni le economie locali. Non si tratta di “snobbare” questi mestieri, ma di cercare una vita che rispecchi aspirazioni personali, equilibrio e una visione di crescita collettiva. I giovani che intraprendono percorsi di formazione avanzata o professioni legate alla tecnologia e alla creatività sono il motore del cambiamento. È grazie a queste scelte che la società progredisce, trovando soluzioni innovative anche per sfide antiche come la sostenibilità agricola o la gestione delle risorse.

Certo, è legittimo provare un po’ di nostalgia per quei mestieri che incarnano tradizioni millenarie e un rapporto autentico con la terra e la natura. Ma forse il futuro di queste professioni non è necessariamente nel mantenimento dei vecchi schemi. La tecnologia, ad esempio, può rendere questi mestieri più accessibili e meno gravosi, favorendo un equilibrio tra le esigenze della modernità e il rispetto delle radici.
Perché i giovani dovrebbero interessarsi nuovamente a lavori come quello del pastore? Non certo attraverso il rimpianto o la condanna per aver scelto altro. Serve, invece, un investimento culturale ed educativo che mostri come questi mestieri possano integrarsi in una società moderna, valorizzando tradizione e innovazione insieme. Un agricoltore, oggi, può essere anche un imprenditore, un esperto di sostenibilità o un ambasciatore del territorio. La sfida per il futuro può essere, quindi, quella di rendere questi mestieri nuovamente attraenti, investendo in politiche che ne migliorino le condizioni e che li valorizzino agli occhi delle nuove generazioni.