"Lavoro in un call center": l'amaro sfogo di una donna
Tra gli argomenti che maggiormente tratta il nostro giornale, c'è senza dubbio quello del mondo del lavoro. Oltre alle notizie relative i dati di occupazione, la crisi di determinati settori e le singole storie di imprenditori e dipendenti alle prese con le difficoltà della loro occupazione, c'è una fonte che amiamo ascoltare, e a cui non perdiamo l'occasione di dare voce. Che è quella dei lavoratori anonimi, le cui segnalazioni e testimonianze intercettiamo attraverso i social network. Gruppi Facebook, in particolare, sui quali si riuniscono uomini e donne di tutta Italia, che tutti i giorni fronteggiano la difficoltà di trovare un lavoro gratificante e soddisfacente, sia dal punto di vista remunerativo, che di prospettive di carriera.
Un obiettivo che, spesso, e soprattutto in alcune regioni, in particolare del sud Italia, per alcuni sembra essere un'utopia. Oltre alle piaghe tutte italiane del lavoro sommerso e in nero, resiste ancora, nel nostro paese, lo scontro tra la vecchia generazione e la nuova. Divise, di frequente, dalla tipologia contrattuale dello stage, o tirocinio, con cui i datori di lavoro vecchio stampo pretendono, spesso, di sfruttare i nuovi candidati. Approfittando della giovane età, e dell'inesperienza. Candidati che, però, oramai in possesso di una nuova mentalità lavorativa, non sono più disposti ad accettare determinate ed umilianti condizioni di lavoro pur di portare a casa uno stipendio.
Una premessa doverosa per introdurre la nuova segnalazione che abbiamo intercettato tramite l'aiuto di voi lettori. Un post, anche questo pubblicato su Facebook, sul gruppo Basta annunci di lavoro generici o ambigui, di una donna, la quale ha condiviso il suo sfogo in forma anonima.
"Lavoro in un call center": la testimonianza di una donna che dovrebbe far riflettere
La persona in questione racconta di lavorare in un call center e di essere anche soddisfatta della retribuzione. Di aver sì bisogno di lavorare, ma che, tuttavia, lo stress che deriva da questo lavoro, che la espone ai comportamenti maleducati di tanti utenti, la sta portando a maturare la decisione di andar via.
Lo sfogo in questione recita così: “Lavoro in un call center outbound, in cui chiamo le aziende per prendere appuntamento per gli agenti di commercio. Oggi, dopo una lunga sfilza di 'vaffa', ho chiuso il pc ed ho staccato".
"Non ce la faccio più. Ho bisogno di lavorare, mi pagano abbastanza bene, ma non riesco ad andare avanti. Mi sento in colpa perché c’è chi vorrebbe anche questo lavoro, ma io mi sto esaurendo così. Per ore sto attaccata al pc, chiamo, ripeto la stessa tiritera, mi faccio mandare a quel paese, e via un altro numero. Ci sono altri che hanno vissuto, o vivono la stessa situazione?”, chiede la lavoratrice.
La risposta non tarda ad arrivare: un'altra lavoratrice risponde che ha vissuto la medesima esperienza. “Io”, racconta, “facevo assistenza: avevano bisogno di me, ma ugualmente mi mandavano a quel paese”.
Lo sfogo di questa lavoratrice fa riflettere su una questione: tutti noi avremo, almeno una volta nell'ultimo mese, ricevuto la telefonata di un call center. La maggior parte di noi risponde male, chiudendo in faccia il telefono, e comportandosi senza alcun riguardo della persona dall'altra parte della cornetta. Ricordarsi che si tratta di lavoratori che stanno semplicemente cercando di portare a casa uno stipendio, è qualcosa che tutti noi dovremmo ricordare. Essere gentili, sempre.