Shelley Duvall, iconica attrice degli anni '80, è morta ieri nel sonno: aveva 75 anni e da tempo soffriva di problemi di salute legati al diabete. Il suo ruolo più importante fu Wendy in Shining: il successo, a costo del trauma
Uno dei volti più inquietanti e affascinanti della storia del cinema recente, è scomparsa a 75 anni Shelley Duvall, indimenticabile attrice di film divenuti cult, uno su tutti Shining, di Stanley Kubrick. La scomparsa dell'artista è stata annunciata dal compagno, Dan Gilroy, il quale ha fatto sapere come Duvall sia spirata dolcemente, nel sonno. Diversi i problemi di salute contro cui lottava da tempo, il più grave dei quali il diabete. Sarebbero state alcune complicazioni legate a questa patologia a condannare l'attrice. Si spegne una vita straordinaria, volto eternamente scolpito nella storia del cinema mondiale. Un successo che l'ha resa una star planetaria, a un costo, però, altissimo.
Shelley Duvall, addio alla Wendy di Shining: l'attrice è morta nel sonno a 75 anni
La sua carriera comincia nel 1970, con la sua partecipazione al film di Robert Altman Anche gli uccelli uccidono. Altman la vorrà per quasi tutti i suoi film successivi, ma fu l'intuizione di Stanley Kubrick a fare di Duvall un'attrice famosissima. L'incommensurabile genio del regista statunitense vide nel viso, così particolare, di Shelley Duvall, il pezzo che mancava per rendere Shining il miglior horror di tutti i tempi secondo molti. Kubrick cucì su misura dell'attrice il ruolo di Wendy, la sottomessa moglie di Jack, interpretato da un gigantesco Jack Nicholson.
Una delle scene più leggendarie e iconiche della storia del cinema di sempre, quella in cui Wendy/Shelley urla, tra il terrore, la disperazione e la rassegnazione che precede la morte, appoggiata allo stipite della porta che Jack sta sfondando a colpi di ascia. La faccia deformata dal panico dell'attrice ha fatto scuola, e storia.
Quel ruolo, però, le costò carissimo.
Il trauma sul set di Shining
Lo chiamiamo trauma, ma altro non era che una tecnica, al limite del sopportabile, usata un tempo nel cinema. Quella di spingere, finché fosse stato possibile, gli attori e le attrici, a dare il massimo sul set. Ma non solo in termini di bravura e impegno attoriale, ma anche e soprattutto dal punto di vista della partecipazione emotiva.
Qualcuno ha visto in quelle grida disperate dell'attrice qualcosa di molto vicino alla verità. Un'interpretazione da brividi, riuscitissima proprio per quello attraverso cui l'artista era passata. Giorni interi di pressione e pianti sul set, inseguita e quasi perseguitata dal regista, che voleva da lei il massimo.