Veneto, lo sfogo di una stagista sui social e l'amara riflessione su una tipologia di contratto di cui spesso i datori di lavoro si approfittano
Quella delle esperienze negative nel mondo del lavoro, è l'anima di una rubrica molto premiata dai nostri lettori. Colloqui di lavoro finiti male, annunci ed offerte inaccettabili, contratti all'apparenza vantaggiosi ma che, a ben vedere, nascondono insidie e, tante volte, fregature. Ce le segnalate voi e le intercettiamo noi, specialmente tramite i social (dove i lavoratori, o gli aspiranti tali, usano sfogarsi), praticamente tutti i giorni. A testimonianza di quanto la ricerca di un lavoro sia un'esperienza travagliata, che almeno nella metà dei casi espone il candidato a dispiaceri, e delusioni.
E, una cosa che abbiamo notato nel raccontare storie che arrivano da ogni parte d'Italia, è come certe figure professionali vengano, spesso e volentieri, deformate a proprio piacimento da chi offre lavoro.
Ci spieghiamo meglio, con un esempio concreto. Un caso, ancora una volta intercettato da Facebook, di una giovane lavoratrice che ha condiviso su un gruppo social in cui lavoratori e lavoratrici si riuniscono, in cerca di consigli e suggerimenti, il proprio sfogo. Nascondiamo l'identità della ragazza, appellandola con il nome fittizio di Noemi. La quale, racconta, lavora come stagista, una posizione che, all'interno di un'azienda, espone, chi la ricopre, a situazioni a volte svantaggiose. Lo stage non è considerato un rapporto di lavoro subordinato, bensì un'esperienza formativa. Di conseguenza, gli stagisti non godono degli stessi diritti dei lavoratori dipendenti, come, ad esempio, le ferie retribuite o la tredicesima. Tuttavia, sono previsti dei compensi, spesso definiti 'rimborsi spesa', la cui entità varia a seconda del settore, della durata dello stage e della politica aziendale.
Nel caso di Noemi, la retribuzione che le spetta è quella, a tutti gli effetti, di un rimborso spesa: 550 euro al mese. Ma il trattamento, di fatto, è quello di un lavoro vero e proprio. Leggiamo il suo sfogo.
Veneto, stagista denuncia: "Le continue richieste del mio capo"
Noemi ha 29 anni, e, racconta, ha già svolto due stage. Non una lavoratrice 'di primo pelo', quindi. "Ogni tanto il capo mi chiede di fermami un quarto d’ora dopo o di arrivare un quarto d’ora prima. Ora voi direte che devo accettare, per fare bella figura e farmi tenere. Ma non sono una ragazzina appena uscita dalle superiori, e neanche una che non ha esperienza in ambito, da poter fregare. Lo trovo molto ingiusto, perché nessuno mi pagherà mai per quei minuti in più qui, e già lo “stipendio” è di 550 euro. Sono stanca di questa truffa legalizzata di schiavitù che è lo stage. Ho anche già lavorato in fabbrica, dove lo stipendio è buono. Ma, essendo laureata, volevo un posto d’ufficio, almeno per usufruire della laurea, e non riesco a trovare altro, se non stage. Come mi dovrei comportare secondo voi? Rifiutarmi di stare di più oltre il mio orario giornaliero?", chiede la giovane.
Una riflessione che lasciamo al lettore: è ancora giusto generalizzare, dicendo che i giovani di oggi non hanno voglia di lavorare? Forse, bisognerebbe mettersi nei loro panni, e rivedere la posizione dei datori di lavoro.
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