RaiPlay, indimenticabile Stefano Accorsi: non è una storia d'amore qualunque

"Più leggero non basta": il film con Stefano Accorsi da riscoprire su RaiPlay.

Ci sono film che, pur passati quasi inosservati all’epoca della loro uscita, riescono a mantenere intatta la loro forza anche a distanza di decenni. È il caso di Più leggero non basta, una pellicola per la televisione andata in onda per la prima volta l’8 dicembre 1998 su Rai 2, oggi finalmente disponibile su RaiPlay. Diretto da Elisabetta Lodoli, questo film rappresenta una piccola gemma del cinema italiano, da riscoprire e rivalutare con occhi nuovi. A guidare il cast c’è un giovane Stefano Accorsi, ancora agli inizi della sua brillante carriera, ma già capace di offrire una prova intensa e sfumata. Al suo fianco, una straordinaria Giovanna Mezzogiorno, Lorenza Indovina e Tommaso Ragno. Una squadra di interpreti che dona profondità e umanità a una storia delicata, impegnata ma mai retorica.

RaiPlay, unico Stefano Accorsi: la storia d'amore da riscoprire

La trama si sviluppa in una Roma di fine anni Novanta, ancora segnata dalla leva militare obbligatoria. Marco, interpretato da Accorsi, è un ambizioso architetto che, pur di non entrare in caserma, sceglie di diventare obiettore di coscienza. Viene così assegnato a un centro per disabili dove il suo compito è assistere Elena, una giovane affetta da una grave forma di distrofia muscolare. Un incarico che inizialmente lo spiazza, lo mette a disagio, lo costringe a fare i conti con una realtà dura e sconosciuta. Ma proprio attraverso il contatto quotidiano con Elena, Marco intraprende un viaggio interiore fatto di trasformazione e consapevolezza.

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Stefano Accorsi in una scena del film disponibile su RaiPlay

Il rapporto che si instaura tra i due non scivola mai nel sentimentalismo. Non è una storia d’amore, ma qualcosa di più profondo: un legame fatto di fiducia, rispetto e crescita reciproca. Marco scopre un mondo complesso, fatto di difficoltà, di battaglie quotidiane, ma anche di forza, autonomia e ironia. Elena, dal canto suo, non è mai vittima o figura da compatire. È una donna lucida, ironica, caparbia. Una rappresentazione della disabilità lontana anni luce da quella pietistica o stereotipata. Il film ha il pregio raro di affrontare la disabilità con realismo e umanità. Elisabetta Lodoli sceglie una narrazione asciutta, a tratti quasi documentaristica, evitando l’effetto melodrammatico.

Al contempo, sa anche inserire momenti di leggerezza, battute che spezzano la tensione, frammenti di quotidianità vera. Ne emerge un ritratto sincero e profondo del mondo dell’assistenza e del volontariato, senza semplificazioni né giudizi. Al centro di tutto c’è una domanda urgente e sempre attuale: cosa significa davvero prendersi cura di qualcuno? Il film riflette sul valore del servizio civile, sul ruolo dei volontari, ma anche sulla solitudine delle famiglie, sulla mancanza cronica di servizi e sulla precarietà di chi assiste ogni giorno una persona disabile. Temi che, a oltre vent’anni dalla prima messa in onda, restano purtroppo ancora irrisolti.

Perché vale la pena vederlo

Più leggero non basta è anche un piccolo atto di coraggio: racconta una protagonista disabile non a causa di un incidente, ma per una patologia. Una scelta narrativa tutt’altro che scontata, che rompe un tabù e amplia lo sguardo sulla rappresentazione della disabilità nel cinema italiano. La regia di Lodoli riesce a mantenere un tono equilibrato, dove ogni personaggio è tridimensionale, mai solo buono o cattivo, ma reale, con le sue contraddizioni e fragilità.

Accorsi regala un’interpretazione sobria e sentita, lontana dagli eccessi, perfettamente calibrata su un personaggio che cresce lentamente, passo dopo passo, senza svolte clamorose ma con piccoli gesti di consapevolezza. Giovanna Mezzogiorno è straordinaria nel dare voce e corpo a Elena, riuscendo a far emergere la sua forza, la sua intelligenza e la sua capacità di amare e farsi amare. Oggi, riscoprire Più leggero non basta significa anche fare un salto indietro nel tempo e rivedere un’Italia che stava cambiando, ma che faceva ancora fatica a includere davvero chi viveva ai margini.

Un’Italia che troppo spesso lasciava sole le famiglie, che chiedeva assistenza ma non offriva strumenti concreti. Significa, al tempo stesso, anche riflettere sul presente, su quanto ancora ci sia da fare per costruire una società più giusta, empatica e inclusiva. Non è solo un film, è un’occasione per fermarsi e guardare la realtà da una prospettiva diversa. Un racconto che commuove senza forzature, che insegna senza predicare. Un’opera da vedere e far vedere, perché la televisione sa anche raccontare storie che lasciano il segno. Ora, a distanza di oltre venticinque anni, lo fa ancora.