La questione delle microplastiche che si disperdono nell’ambiente è uno dei problemi più gravi e più sottovalutati degli ultimi anni. Entrano nella nostra acqua, nei nostri mari, nei nostri piatti e soprattutto nel nostro corpo.
Un tema profondo ed enorme, di cui però stranamente si parla troppo poco e, spesso, in modo troppo superficiale. E per questo sta facendo discutere il nuovo video pubblicato dall’influencer Adamo Romano, conosciuto su Instagram e TikTok con il nickname @maledizioni, che dà voce alla testimonianza di Daniele: una persona reale che racconta una realtà ancora più reale, fatta di acquisti compulsivi, vestiti sintetici e plastica che finisce nell’organismo umano attraverso la catena alimentare.
Che cos’è l’alimentazione “vestitariana”
Il termine che usa Adamo (cioè Daniele) per definirsi è strano e spiazzante: Daniele è un “vestitariano“. Una parola, un neologismo, che sembra una provocazione ma che nella sua storia assume un significato specifico e molto, molto preciso.
Daniele parla con lucidità della sua “alimentazione” e del modo in cui, ogni giorno, senza volerlo, ingeriamo frammenti dei nostri stessi vestiti. Non si tratta di metafore poetiche: è la conseguenza diretta dell’enorme quantità di plastica presente nei capi low-cost e fast fashion che finiscono in lavatrice rilasciando microfibre e contaminando le acque. Il racconto scorre come una confessione. Daniele descrive i tessuti della sua quotidianità: poliestere, acrilico, nylon e, quasi mai, cotone. Capi acquistati a pochi euro, spesso in promozione, spesso senza pensarci. Ed è qui che la sua voce diventa più dura: “È petrolio purissimo venduto come fosse seta”.
La parte più inquietante arriva quando Adamo-Daniele spiega cosa accade ai capi dopo il primo lavaggio. Basta un ciclo perché un vestito sintetico rilasci nell’acqua della lavatrice circa 1,5 gr di microplastiche.
Non è un’opinione, non è un’immagine simbolica: è un dato che molti studi confermano da anni. E quelle particelle una volta finite nello scarico proseguono la loro corsa fino ad entrare nei nostri mari!
A quel punto entra in gioco dei protagonisti invisibili, ma attori principali di questo dramma: i pesci. Secondo quanto racconta Daniele, riportando i dati ufficiali “un pesce su tre le ingoia, scambiandole per plancton”.

Le microplastiche nel Mar Mediterraneo
Non sono narrazioni romanzate: è un dato vero! Secondo COMMON, il progetto di monitoraggio delle acque del mediterraneo, il 30% della fauna ittica ha ingerito microplastiche.
E così parte un ciclo assurdo ma reale: il vestito diventa acqua, l’acqua diventa pesce, il pesce diventa cibo. E il nostro organismo diventa contenitore di ciò che abbiamo indossato, lavato e disperso.
Nel video si cita un numero che merita attenzione: ogni settimana ingeriamo in media 5 grammi di plastica, l’equivalente di un tappo di bottiglia!
Non è retorica, non è allarmismo: è un dato ormai riconosciuto. E ancora più impressionante è l’altro numero riportato nella testimonianza: ogni anno circa 350 mila persone muoiono per malattie legate alle microplastiche rilasciate dai tessuti sintetici. Un numero enorme, più alto delle vittime dell’HIV e dell’AIDS ma quasi mai al centro del dibattito.
Accanto al danno ambientale, Daniele parla anche di qualcosa di più intimo e meno discusso: la fame emotiva che lo porta a comprare compulsivamente. Una fame che descrive come un “buco nero nello stomaco”, che si riempie solo per un attimo al momento dell’acquisto. Questa è la fotografia di un comportamento diffuso: l’illusione di sentirsi pieni, appagati, “migliori”, per il breve istante in cui un nuovo pacco arriva a casa.
Il suo racconto si chiude con una frase che sintetizza perfettamente il problema: “Il veleno ti convince che sia cibo. Ti convince che sia buono, economico, conveniente”. È una verità amara. Non riguarda Daniele soltanto. Riguarda tutti noi.
Il reel non vuole essere moraleggiante. È un frammento di realtà raccontato attraverso una voce che parla senza filtri. Una testimonianza che non può risolvere il problema delle microplastiche, ma può almeno fare ciò che oggi serve di più: costringerci a guardarlo in faccia.
