Negli ultimi anni il tema delle microplastiche nelle bevande e negli alimenti è diventato centrale. L’aumento dell’inquinamento generato dalla plastica monouso, dispersa nell’ambiente per decenni, ha portato alla presenza di frammenti microscopici in mari, fiumi e persino nella nostra dieta quotidiana. Molti consumatori scelgono alternative alla plastica, preferendo bottiglie in vetro o affidandosi direttamente all’acqua del rubinetto, controllata severamente nella quasi totalità dei comuni italiani. Al ristorante, soprattutto in locali di fascia medio-alta, il vetro è ormai la scelta standard. Ma questa materia così apprezzata è davvero sinonimo di sicurezza?
Microplastiche nelle bottiglie: lo studio francese che cambia le carte in tavola
La content creator e divulgatrice Tessa Gelisio ha riportato un dato che sta facendo discutere. Una ricerca condotta in Francia, realizzata da un gruppo di studiosi attivi nell’analisi delle particelle polimeriche nelle bevande confezionate, ha confrontato diversi tipi di contenitori: PET, vetro, lattine e bric. Il risultato che ha sorpreso molti riguarda proprio le bottiglie di vetro, che nell’immaginario collettivo rappresentano la scelta più “pulita”.
Secondo l’analisi, le bottiglie di vetro presentano una quantità di microplastiche fino a 50 volte superiore rispetto alle alternative in plastica PET. Un dato che spiazza, soprattutto considerando che il vetro è un materiale inerte, incapace di rilasciare composti plastici. Da dove arrivano allora queste particelle?
Il vero responsabile è nascosto sotto il tappo
La spiegazione evidenziata dallo studio è sorprendente ma molto concreta. La maggior parte delle bottiglie in vetro utilizza un tappo in alluminio con una guarnizione interna in plastica, quasi sempre di colore blu. Questa sottile componente, esposta a sbalzi termici e sfregamenti durante l’apertura, tende a deteriorarsi lentamente.
Gelisio ha mostrato proprio quella piccola guarnizione, sottolineando come nel tempo si possa sbriciolare in minuscoli frammenti che finiscono nell’acqua. Non è un caso che le particelle rinvenute nelle analisi presentassero lo stesso colore blu della plastica utilizzata nei tappi. Questo dettaglio, apparentemente insignificante, è diventato il centro del problema.

Le microplastiche sono considerate preoccupanti perché possono accumularsi nei tessuti umani e alcune tipologie sono studiate per il loro potenziale ruolo di interferenti endocrini. Proprio per questo gli esperti suggeriscono di ridurre tutte le possibili esposizioni non necessarie.
Quanti frammenti ingeriamo davvero? Le stime che fanno riflettere
Dai dati riportati emerge un quadro chiaro: chi beve esclusivamente acqua in bottiglia di vetro potrebbe ingerire fino a 50.000 frammenti di microplastiche all’anno. Una quantità che spinge molti consumatori a riconsiderare le proprie abitudini quotidiane, soprattutto quando si pensa che la scelta “più sana” possa invece nascondere problemi inattesi.
A questo si aggiunge l’aspetto ambientale: la produzione e il trasporto del vetro richiedono molta energia, aumentando il peso ecologico complessivo di ogni bottiglia. Nulla che renda il materiale meno valido in sé, ma rappresenta un fattore aggiuntivo da tenere in considerazione.
Cosa scegliere per ridurre la presenza di microplastiche
La domanda più frequente è semplice: come possiamo limitarle nella vita di tutti i giorni? Quando si è fuori casa senza borraccia, i contenitori più consigliati dallo studio francese risultano essere l’alluminio e i bric, entrambi caratterizzati da bassi livelli di contaminazione. Non sono soluzioni perfette, ma i risultati ottenuti li collocano tra le opzioni più sicure.
In casa, invece, la situazione è completamente diversa. Nel 99% dei comuni italiani l’acqua del rubinetto viene controllata più volte al giorno dagli enti gestori e risulta la scelta più affidabile. A questo si può aggiungere una buona caraffa filtrante per migliorare il sapore nelle zone dove l’acqua è particolarmente dura. Il risultato è un’opzione più sicura, economica e sostenibile, con un impatto ambientale quasi nullo.
L’alternativa meno consigliata resta l’acqua in bottiglia di plastica. Se si sommano salute, microplastiche e impatto ambientale, il PET risulta la scelta meno vantaggiosa, soprattutto se consumato regolarmente.
Le informazioni diffuse dallo studio francese non demonizzano il vetro in sé, ma invitano a guardare oltre l’apparenza: anche un dettaglio piccolo come una guarnizione può fare la differenza nel nostro consumo quotidiano.
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