Per chi è alla ricerca di lavoro, conviene fare una cosa che riguarda il proprio profilo social per evitare qualsiasi tipo di problema durante il processo di candidatura. Ecco il consiglio dell’esperta.
Nel 2025 la candidatura e selezione del personale sono processi sempre più digitalizzati, guidati da tecnologie avanzate ma ancora radicati nella centralità del fattore umano. Le aziende utilizzano intelligenza artificiale e piattaforme online per individuare i profili più adatti, riducendo i tempi e migliorando l’efficienza del reclutamento. La fase di candidatura inizia con l’invio del curriculum e della lettera motivazionale, oggi gestiti quasi esclusivamente tramite portali digitali. I software ATS filtrano i profili in base a parole chiave e competenze, rendendo essenziale l’adattamento del curriculum vitae al linguaggio dell’annuncio. È sempre più apprezzato l’approccio proattivo, con contatti diretti ai recruiter attraverso i social professionali.
Il processo di selezione è articolato in più passaggi: analisi delle esigenze aziendali, pubblicazione dell’offerta, valutazione dei CV e colloqui. Durante le interviste si indagano sia le hard skills sia le soft skills, con attenzione alla coerenza tra candidato e cultura aziendale. Nelle fasi finali vengono definiti contratto e condizioni di assunzione. Il recruiter moderno assume un ruolo consulenziale, fungendo da ponte tra impresa e candidato. Analizza i fabbisogni, individua talenti e valuta la compatibilità tra competenze e valori. L’uso di dati e strumenti digitali rende il processo più rapido e trasparente, ma la valutazione finale resta ancorata all’empatia e alla capacità di ascolto.
Social, il consiglio dell’avvocato per chi cerca lavoro: ecco cosa fare
Oltre a controllare i curriculum, le esperienze lavorative e le referenze dei candidati, spesso i recruiter svolgono dei ‘background check‘. Questi sono leciti, fin quando servono a verificare le informazioni fornite nel curriculum del candidato. Cosa non è lecito, però, è controllare i profili social dei candidati: come spiegato dall’avvocato Wanda Falco, una celebre esperta di diritto del lavoro, infatti, l’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori vieta in modo esplicito qualsiasi indagine sulle opinioni politiche, religiose o sindacali di un candidato, così come su aspetti della vita privata che non abbiano rilievo per la valutazione professionale. Per questo motivo, visionare o analizzare i profili social personali — come Facebook, Instagram o X — non è un comportamento lecito, poiché può condurre a discriminazioni basate su informazioni non pertinenti al lavoro.

Restano invece consultabili, senza violare la legge, solo i profili professionali, come LinkedIn, dove i contenuti riguardano esperienze, competenze e percorsi formativi. Qualsiasi altra ricerca, soprattutto se volta a dedurre opinioni o abitudini private, costituisce una violazione della tutela della privacy e dei principi di non discriminazione.
Il consiglio utile della legale
La legale riconosce tuttavia che, nella pratica, è difficile impedire del tutto questo tipo di controlli informali. Non è, infatti, facile rendersi conto del fatto che un recruiter sia andato o meno a visitare il canale social del candidato, e che si sia fatto influenzare da questa ricerca. Per cautelarsi, chi cerca lavoro dovrebbe quindi chiudere, e quindi rendere privati i propri profili personali, o comunque almeno limitare la visibilità dei contenuti più sensibili. È questo il consiglio, tanto semplice quanto utile, dell’esperta. Una gestione attenta della propria reputazione digitale è, in effetti, oggi parte integrante della candidatura: proteggere la sfera privata significa anche tutelare la propria credibilità professionale e prevenire valutazioni basate su elementi estranei alle competenze reali.
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