Netflix, perché il docufilm su Pino Daniele è diverso: il dettaglio che spiazza

Il docufilm su Pino Daniele di Francesco Lettieri e disponibile su Netflix è diverso da tutti gli altri precedentemente realizzati. C'è un dettaglio, infatti, che spiazza e rende il tutto ancora più unico e magico.

Non è il solito documentario-tributo quello che Francesco Lettieri ha portato su Netflix a luglio 2025. Pino, il titolo è semplice, diretto, essenziale come la musica di cui racconta. Ma dietro questa semplicità si nasconde un lavoro stratificato, emotivo, audace. A dieci anni dalla scomparsa e settanta dalla nascita di Pino Daniele, Lettieri compone un ritratto intimo e potente, evitando con cura i cliché della nostalgia e della celebrazione forzata. Niente voce narrante, niente ricostruzioni patinate: tutto è affidato alla memoria visiva e sonora. Ma dentro questo impianto rigoroso si nasconde un’idea sorprendente. Qualcosa che, inaspettatamente, cambia le regole del racconto documentaristico musicale.

Il docufilm su Pino Daniele è diverso dagli altri: il dettaglio che lo rende unico su Netflix

Il regista sceglie di raccontare Pino Daniele attraverso una sinfonia visiva. Il montaggio segue la musica, si piega al suo ritmo, lascia che siano le canzoni a suggerire il tempo del racconto. Eppure, a un certo punto, Pino fa qualcosa che nessun altro documentario biografico ha mai osato con tanta naturalezza: prende alcune delle canzoni più celebri dell’artista e le trasforma in piccole storie cinematografiche, girate come veri e propri cortometraggi. Non videoclip, non mere illustrazioni, ma scene vere, con attori, ambientazioni, luci, silenzi, sguardi. “Chillo è nu buono guaglione”, “Quanno chiove”, “Allora si” diventano così racconti per immagini, che traducono le parole in carne e ossa.

Quello che colpisce è come Lettieri riesca a fare tutto questo senza mai tradire l’autenticità di Pino Daniele. Le scene non sono didascaliche, non cercano di spiegare le canzoni. Le reinventano, forse le sognano. La sensazione è che il regista abbia cercato di mettersi nei panni dello stesso Pino, provando a immaginare cosa vedesse lui quando scriveva. Il risultato è uno sguardo soggettivo, affettuosamente arbitrario, eppure incredibilmente evocativo.

In questo modo, la musica di Pino Daniele smette di essere solo colonna sonora. Diventa materia viva, prende forma sullo schermo, si fa corpo. Le canzoni che conosciamo da sempre si mostrano sotto una nuova luce. Non sono solo più da ascoltare: diventano da guardare. In questa trasfigurazione visiva c’è tutta la forza poetica di un artista che ha sempre scritto per immagini, con parole che sembravano già in cerca di una regia.

pino e massimo
Pino Daniele e Massimo Troisi in una scena emozionante del docufilm

È questa la vera intuizione del documentario. Non limitarsi a raccogliere testimonianze, frammenti d’archivio, parole affettuose di colleghi e amici, che ci sono, e sono importanti, da James Senese a Eric Clapton, da Jovanotti a Loredana Bertè, ma fare un passo in più. Dare un nuovo linguaggio alla musica. Non per tradirla, ma per restituirle la potenza che ha sempre avuto. Un’operazione rischiosa, perché si corre il pericolo di sovrainterpretare, di invadere. Lettieri riesce a mantenere quell’equilibrio fragile tra omaggio e libertà, tra rispetto e invenzione.

Un'opera che osa: la musica diventa immagine

C’è un momento, in particolare, in cui si comprende la portata di questa scelta. Un'attrice cammina in silenzio per i vicoli di Napoli, mentre in sottofondo inizia “Quanno chiove”. Il suo volto non dice nulla, ma racconta tutto. Lo sguardo, i gesti, il modo in cui si ferma a osservare l'orizzonte che ha davanti. In quella scena non c’è Pino Daniele, eppure è come se ci fosse. È come se fosse lui a guardare. O forse siamo noi, per la prima volta, a vedere davvero attraverso i suoi occhi.

Il documentario Pino non è solo un ritratto, è una forma di reincarnazione. È un’opera che accetta il rischio della creazione, che usa il cinema per esplorare la musica, che lascia che l’arte di un uomo continui a parlare anche quando la sua voce si è spenta. In un panorama di docufilm spesso ingessati o troppo reverenziali, Pino spicca per la sua libertà, per la sua capacità di farci sentire la mancanza di qualcosa che, paradossalmente, torna a essere presente. È questa la vera rivoluzione di Francesco Lettieri: non raccontare Pino Daniele, ma farcelo rivivere. Senza imitazioni, senza retorica. Solo con le sue parole, la sua musica, e qualche immagine in più. Perché certe emozioni, a volte, hanno bisogno anche di uno sguardo per dirsi fino in fondo.