Su RaiPlay la più grande artista di tutti i tempi: storia vera di una mente geniale

Su RaiPlay c'è un film che vale la pena vedere: la storia vera di una mente geniale, una delle poetesse più brave e intense di tutti i tempi.

Cosa accade quando la poesia si intreccia con la follia, e l’arte diventa l’unico rifugio possibile? Folle d’amore – Alda Merini, disponibile su RaiPlay, non è solo il ritratto televisivo di una poetessa, ma un viaggio profondo e struggente nella mente e nell’anima di una donna che ha sfidato il silenzio, i pregiudizi e l’istituzione. Diretto da Roberto Faenza e tratto liberamente dal libro Perché ti ho perduto di Vincenza Alfano, il film racconta con grande intensità la vita di Alda Merini.

Le restituisce voce, corpo e memoria in un racconto che attraversa decenni di dolore e bellezza, solitudine e rinascita. Una storia che non ha filtri ed è proprio per questo che vale la pena di essere vista e vissuta anche solo attraverso lo schermo. La sofferenza non viene nascosta, la malattia mentale non è uno stigma ma parte integrante di una vita vissuta al limite. Folle d’amore non cerca di spiegare Alda Merini: la ascolta e invita anche noi a farlo.

Un viaggio nella memoria, tra poesia e ferite: la più grande artista su RaiPlay

Il film si struttura come un mosaico narrativo suddiviso in tre capitoli, affidati a tre attrici che interpretano Merini in diverse fasi della sua esistenza: Sofia D’Elia per l’adolescenza, Rosa Diletta Rossi per la giovinezza e Laura Morante per la maturità. È proprio la Merini anziana a introdurre la narrazione, con un incontro chiave: quello con il giovane teologo Arnoldo Mosca Mondadori, interpretato da Federico Cesari. Da questo dialogo nasce un viaggio a ritroso nella memoria, punteggiato da ricordi vividi, dolori mai del tutto sopiti e barlumi di luce che solo la scrittura riesce a mantenere vivi.

folle d'amore scena
Una scena del film su RaiPlay Folle d'amore

Il racconto non segue un ordine rigido, ma scorre con naturalezza tra i Navigli di Milano e le stanze vuote dei manicomi, tra i caffè letterari e i corridoi della solitudine. È una narrazione che pulsa, che alterna lirismo e cruda realtà, sempre mantenendo lo sguardo onesto e partecipe. Ciò che colpisce in Folle d’amore è la totale assenza di vittimismo. Alda Merini viene mostrata nei suoi chiaroscuri, fragile ma mai sconfitta, capace di ironia anche nei momenti più bui. Il film non cerca di santificarla, ma nemmeno di ridurla a una figura tragica. Racconta una donna che ha affrontato l’isolamento, l’elettroshock, l’incomprensione, e ha trovato nella poesia un’ancora, una rivincita, una salvezza.

La poesia come gesto di libertà

Il manicomio non è solo un luogo fisico, ma una condizione esistenziale. Dodici anni di internamento segnano una frattura profonda nella sua vita, eppure da quella frattura nasce una scrittura più intensa, più necessaria. Le parole diventano resistenza, identità, atto politico. La scelta di dividere il personaggio tra tre attrici non è solo un espediente narrativo, ma una sorta di dichiarazione poetica. Ognuna incarna un volto diverso della Merini, ma tutte restituiscono la stessa anima inquieta e lucida. La giovane Alda si ribella all’esclusione scolastica, la donna adulta affronta maternità e dolore, la Merini anziana ripercorre tutto con uno sguardo che sa ancora sorprendere, provocare, accarezzare. Laura Morante è straordinaria nel dare corpo e voce a una poetessa che parla senza filtri, che fuma, ride, si arrabbia, e che non ha perso la voglia di vivere nonostante tutto.

Uno degli elementi più potenti del film è il modo in cui viene trattata la poesia. Non come ornamento, ma come linfa vitale. I versi della Merini emergono dai dialoghi, si insinuano nelle immagini, restano sospesi. Non c’è mai un compiacimento stilistico: ogni parola è necessaria, ogni frase è un tassello che aggiunge senso al suo percorso. Anche chi non ha mai letto una poesia della Merini può comprendere, in questo film, quanto la scrittura sia stata per lei più di un talento: un’urgenza, una forma di resistenza alla realtà.

Le riprese si sono svolte a Torino, ma la città riesce a interpretare una Milano credibile, densa di memoria e simboli. I Navigli, i circoli letterari, i luoghi dell’alienazione e della rinascita sono tutti presenti, anche solo evocati. La città non è una semplice ambientazione: è un personaggio silenzioso che accompagna la protagonista nel suo cammino. Vale assolutamente la pena guardarlo per la verità che trasmette su una delle più grandi poetesse italiane. Racconta una storia vera, senza filtri, e ci ricorda che la poesia può nascere anche nel buio più profondo. È un’opera che lascia il segno, che stimola la riflessione e che ci spinge a riscoprire l’opera di una donna che ha trasformato la sofferenza in bellezza.