Su RaiPlay c'è un film particolarmente intrigante con Luigi Lo Cascio: scava nel cuore delle montagne e persino in quello degli uomini.
In un paesaggio che non concede tregua, tra rocce aguzze e silenzi che fanno rumore, si muove Cesare, l’anima ferita e solitaria protagonista de Il mangiatore di pietre. Il film, diretto da Nicola Bellucci e tratto dall’omonimo romanzo di Davide Longo, è un’opera italo-svizzera del 2018 che si è fatta notare al 36° Torino Film Festival per il suo taglio inusuale. Una pellicola che non cerca facili emozioni, ma scava con pazienza, come un cesello su pietra, nel passato e nei sensi di colpa di un uomo che ha conosciuto il confine, geografico e morale, e ha deciso di rimanerci incastrato.
Luigi Lo Cascio regala al protagonista una malinconia ruvida, fatta di silenzi e sguardi duri come le Alpi che lo circondano. Cesare è un ex contrabbandiere, uno di quelli che conoscono ogni sentiero nascosto tra Italia e Francia, ma che ora vive isolato, tra legno da intagliare e fucili da caccia. Il tempo sembra essersi fermato, fino al giorno in cui trova il cadavere del figlioccio Fausto in un torrente. Due colpi di fucile e il mistero si infila tra le pieghe della montagna. Se amate particolarmente Lo Cascio, non potete perdere quest'altro capolavoro.
RaiPlay, il film incredibile con Luigi Lo Cascio: un'indagine che lascia il segno
L’indagine che segue è tutto fuorché classica. Niente detective infallibili o colpi di scena eclatanti. Il ritmo è lento, come il passo di chi sale a piedi lungo un sentiero scosceso. Cesare collabora con la commissaria Sonja di Meo, interpretata da Ursina Lardi, ma più che cercare il colpevole, sembra dover affrontare i propri fantasmi. Fausto, dopotutto, era quasi un figlio per lui. Eppure, tra loro si era creata una distanza insanabile quando il ragazzo aveva scelto il traffico di droga al posto del “semplice” contrabbando.
Il paesino alpino in cui si muovono i personaggi è chiuso, diffidente, complice. Il silenzio è più rumoroso delle parole, e la montagna non perdona. Bellucci, alla sua prima prova nella fiction dopo una lunga carriera nel documentario, sceglie un registro visivo che non lascia spazio al superfluo. Le inquadrature sono lunghe, il montaggio essenziale, la fotografia firmata da Simon Guy Fässler esalta la bellezza spietata della natura, quasi fosse un altro personaggio.

C’è un giovane, Sergio, che cerca una via di fuga. C’è un padre autoritario, un paese che puzza di compromessi e connivenze, un flusso di migranti che attraversano le montagne nella speranza di una nuova vita. La trama si intreccia con l’attualità senza mai diventare didascalica. Il traffico di esseri umani, la corruzione nei piccoli centri, l’impossibilità di sfuggire al passato: tutto convive dentro la narrazione, anche quando sembra non succedere nulla.
L'incredibile bravura di Lo Cascio: perché vale la pena vederlo
Lo Cascio tiene in piedi la struttura con una performance misurata ma intensa. Il suo Cesare è un uomo che si porta il peso delle scelte sulle spalle, come pietre. Non è un eroe, ma un sopravvissuto. Ogni gesto, ogni parola non detta racconta una vita fatta di sacrifici e rimorsi. La pietra, che dà il titolo al film, è il simbolo perfetto: dura, immobile, resistente. Come i personaggi, incapaci di cambiare davvero.
Il finale, sorprendente nella sua essenzialità, del quale parleremo senza fare spoiler, chiude un cerchio fatto più di tensioni interiori che di azioni spettacolari. Certamente va chiarito che Il mangiatore di pietre non è un film per tutti. Chi cerca il ritmo incalzante del thriller resterà spiazzato. Invece, chi ha voglia di lasciarsi trasportare in un viaggio lento e profondo, troverà una storia umana e dura, scolpita nel silenzio della montagna.
Nicola Bellucci firma così un esordio nella fiction maturo e personale. Si prende il tempo di osservare, raccontare, scavare. Non urla mai, ma lascia che siano i volti, i paesaggi, le scelte morali a parlare. Il risultato è un noir alpino asciutto e potente, in cui ogni dettaglio, dalla musica malinconica di Teho Teardo alla neve che cade in silenzio, costruisce un’atmosfera ipnotica e autentica. Vale la pena vederlo perché si distingue per la coerenza e soprattutto per il coraggio del regista. Lo Cascio, poi, da uno spessore al suo personaggio che mette i brividi.