Su RaiPlay c'è un film tutto da vedere con Valerio Mastandrea e Fabrizio Gifuni: due ruoli da applausi con un colpo di scena dietro l'altro e una tensione sempre più crescente.
Un padre odiato, un delitto inspiegabile, una coscienza che diventa prigione. Sole negli occhi, film del 2001 diretto da Andrea Porporati, è una delle opere italiane più intense e sottovalutate degli ultimi decenni. Con protagonisti Valerio Mastandrea e Fabrizio Gifuni, il film porta sullo schermo una rilettura moderna e potente di Delitto e castigo di Dostoevskij, trasportando il dramma esistenziale di Raskolnikov in una Rimini grigia e allucinata.
Su RaiPlay Mastandrea e Gifuni unici: la versione italiana del celebre romanzo russo
Andrea Porporati, già noto per il suo lavoro come sceneggiatore, firma qui il suo esordio alla regia. Lo fa con un’opera che osa, che non cerca la facile emozione ma affonda nel tormento interiore del protagonista. Un film che non ha paura di sporcarsi con i temi più cupi dell’animo umano, restituendo una narrazione profonda e dolente. Il cuore del racconto è Marco, interpretato da Fabrizio Gifuni, un uomo segnato da un trauma infantile mai superato. Quando arriva a Rimini per incontrare il padre che ha sempre disprezzato, il passato esplode nel presente. Il padre, interpretato con crudezza da Gianni Cavina, è un uomo rovinato dai debiti che vuole vendere la casa di famiglia. Il gesto scatena in Marco una rabbia irrefrenabile: lo uccide a coltellate.

Non è però il delitto il fulcro narrativo. È tutto ciò che viene dopo. Marco si aggira per le strade della città come un fantasma, in preda ai sensi di colpa e a un’inquietudine che lo consuma. Ogni incontro, con la madre, la sorella, con la ragazza depressa che gli offrirà un barlume di umanità, diventa una tappa verso una possibile redenzione. La città romagnola è lo scenario perfetto per questa discesa nell’inferno personale del protagonista. Rimini, solitamente sinonimo di estate, mare e leggerezza, viene qui mostrata nella sua faccia più cupa, quasi metafisica. Le inquadrature scelte da Porporati spogliano la città della sua solarità, rendendola specchio del tormento di Marco.
Una regia sobria e un racconto necessario
Lontano dalle logiche del thriller o del giallo tradizionale, Sole negli occhi evita ogni spettacolarizzazione. Porporati non cerca il colpo di scena, ma l’emozione profonda. Il suo è un cinema fatto di silenzi, di sguardi, di non detti. Una narrazione asciutta che lascia spazio allo spettatore, chiamato a entrare nella psiche del protagonista e a condividerne il dolore. La forza del film sta proprio in questa scelta stilistica. Non c'è compiacimento, non c'è morale imposta. Solo la tragedia umana di un uomo incapace di convivere con il proprio gesto.
Gifuni è magnetico nella sua interpretazione: fragile, nervoso, sempre sul filo dell’implosione. Mastandrea, nel ruolo dell’agente Rinaldi, riesce a dare spessore a un personaggio che avrebbe potuto rimanere secondario. Il suo sguardo attento, mai giudicante, aggiunge una dimensione ulteriore al racconto, quella della legge che osserva ma non condanna, che intuisce ma non punisce. Il film fu presentato al Torino Film Festival del 2001, ha raccolto numerosi consensi della critica. In molti, infatti, ne hanno lodato non solo l'eleganza drammatica, ma anche la profonda eleganza stilistica.