L'aumento dello stipendio in busta paga conviene sempre, oppure si rischia di pagare più tasse, se questo supera lo scaglione IRPEF? Ecco la risposta del noto esperto.
Dal 2025 il sistema IRPEF italiano prevede tre aliquote progressive che si applicano solo alla parte di reddito che rientra in ciascuno scaglione. Si tratta di un'imposta sul reddito basata sul principio della progressività, secondo cui l’aliquota aumenta solo sul reddito che eccede certe soglie, senza gravare retroattivamente sull’intero ammontare. I tre livelli sono fissati al 23% per i redditi fino a 28.000 euro, al 35% per la parte compresa tra 28.000 e 50.000 euro, e al 43% per quanto supera i 50.000 euro.
Tali scaglioni incidono direttamente sulle trattenute in busta paga, determinando il netto mensile percepito. L’acconto IRPEF, se supera i 257,52 euro, va versato in due momenti: il 40% a giugno e il 60% entro novembre. L’importo effettivo da corrispondere si calcola infine sottraendo detrazioni e deduzioni all’imposta lorda, definendo così la cosiddetta imposta netta. Il meccanismo consente ai redditi più bassi di beneficiare di aliquote contenute e maggiori agevolazioni, mentre quelli superiori a 50.000 euro affrontano la soglia massima solo sulla parte eccedente. In questo modo, l’imposta tiene conto della capacità contributiva individuale, influenzando sia la dinamica della busta paga sia le scadenze fiscali annuali.
Busta paga, cosa succede se lo stipendio aumenta e supera uno scaglione IRPEF: la spiegazione del commercialista
Per approfondire il funzionamento degli scaglioni IRPEF, e delle tasse relative a questi ultimi, analizziamo un caso in particolare: quello in cui lo stipendio di un dipendente aumenta, e questo aumento porta al superamento di uno scaglione IRPEF. Se il superamento avviene per una sola manciata di euro, magari perché il nuovo CCNL ha previsto un piccolo aumento per ciascuna fascia di lavoratori, oppure perché il datore di lavoro ha deciso di premiare un particolare dipendente, quest'ultimo rischia di pagare più tasse e risulta, conseguentemente e in maniera paradossale, danneggiato da questo aumento? Un noto commercialista, il dottor Massimiliano Allievi, ha risposto alla domanda sulle sue pagine social, facendo chiarezza.
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Le risposte alle due domande sono opposte: come spiega l'esperto, infatti, è vero che il lavoratore dovrà pagare più tasse, ma non sarà danneggiato dall'aumento dello stipendio. Questo perché l'aumento delle tasse riguarda solo la cifra che supera lo scaglione IRPEF. Il calcolo dell’imposta avviene, infatti, in modo proporzionale e segmentato. Ad esempio, su un reddito di 33.000 euro si applica il 23% su 28.000 e il 35% solo sui successivi 5.000. Pertanto, se l'aumento dello stipendio sarà solo di poche manciate di euro, il dipendente guadagnerà lo stesso stipendio netto di prima, perché tassato, ad esempio, al 23%, più la cifra eccedente, tassata al 35%. Non è vero, dunque, che l'aumento dello stipendio non conviene più, o, almeno, non è vero che questo non conviene perché il superamento dello scaglione influenza negativamente l'importo netto, proprio grazie al calcolo proporzionale e segmentato.
