Il ragazzo dai pantaloni rosa, il film da vedere su Netflix che ogni adulto dovrebbe guardare almeno una volta (non solo gli adolescenti).
Arriva su Netflix Il ragazzo dai pantaloni rosa, un film italiano che colpisce al cuore e non lascia indifferenti. Diretto con grande sensibilità da Margherita Ferri, è ispirato alla vera e dolorosa storia di Andrea Spezzacatena, quindicenne romano che nel 2012 si tolse la vita dopo essere stato vittima di bullismo e cyberbullismo a sfondo omofobo. Ma questo non è solo un racconto di dolore. È un’opera che scuote le coscienze e che invita, in modo potente, a guardarci allo specchio. Non solo se si è adolescenti, soprattutto se si è adulti. La forza di questo film sta proprio qui: nel non fermarsi al racconto di una tragedia giovanile ma nel capire che ci può essere sempre chi avrebbe potuto vedere e non ha visto, ascoltare e non ha capito.

Il ragazzo dai pantaloni rosa, perché è un film che parla a tutti: non solo ai giovani
Il film si apre con la voce fuori campo di Andrea, interpretato da uno straordinario Samuele Carrino. È lui a guidarci nel racconto, ma lo fa da un altrove che conosciamo bene: un’assenza che pesa, un vuoto che parla. Andrea è un ragazzo apparentemente sereno, amato dai suoi genitori (Claudia Pandolfi e Corrado Fortuna), benvoluto dai professori, brillante a scuola. Ma basta un gesto minuscolo, un paio di pantaloni accidentalmente tinti di rosa e indossati senza pensarci troppo, per scatenare la cattiveria degli altri. Da lì, inizia il buio.
La scuola, che dovrebbe essere un luogo sicuro, si trasforma in un’arena di scherno. Gli sguardi diventano lame, i commenti sussurrati si fanno urla digitali su una pagina Facebook creata per umiliarlo. Il film non spettacolarizza mai il dolore: lo racconta con delicatezza, attraverso sguardi, silenzi, dettagli quotidiani che diventano sempre più insostenibili. Accanto ad Andrea c'è Sara, interpretata con dolcezza da Sara Ciocca, forse l’unica capace di vedere davvero il suo malessere. E poi c’è Christian Todi (Andrea Arru), il ragazzo popolare che da amico si trasforma nel principale artefice delle umiliazioni. Una dinamica purtroppo nota: quel passaggio sottile dall’essere complici all’essere carnefici.
Il ragazzo dai pantaloni rosa è tratto dal libro Andrea, oltre il pantalone rosa, scritto da Teresa Manes, madre del ragazzo. Ma non è solo un’opera commemorativa. È un grido, un invito a smettere di far finta di nulla. Ecco perché questo film, nonostante sia ambientato nel mondo degli adolescenti, dovrebbe essere visto da tutti gli adulti. Troppo spesso i genitori non si accorgono di quello che i figli fanno, delle parole che usano, delle offese che possono lanciare senza pensarci. Anche gli insegnanti, pur con le migliori intenzioni, possono non notare le dinamiche sottili che si instaurano in una classe. Infine ci sono i giovani i compagni che assistono, ma raramente intervengono. Quando poi il dolore esplode, è già troppo tardi. Il film ci ricorda che anche una battuta può fare male. Non solo, anche che i social, se usati male, diventano un’arma e che il silenzio può uccidere quanto le parole.
Un cast perfetto per una storia che resta addosso
Samuele Carrino è magnetico: interpreta Andrea con una naturalezza che commuove. Claudia Pandolfi, nei panni della madre, è intensa e credibile, soprattutto nel momento in cui scopre, troppo tardi, ciò che il figlio ha vissuto. Corrado Fortuna, nel ruolo del padre, dà voce a quel senso di impotenza che tanti genitori provano quando si trovano davanti a un dolore troppo grande per essere gestito. Andrea Arru riesce a incarnare perfettamente l’ambiguità del “bullo inconsapevole”, quello che agisce per conformarsi, per non essere lui stesso escluso. Infine, la giovane Sara Ciocca regala al film una luce fragile ma preziosa.
Il ragazzo dai pantaloni rosa non offre soluzioni facili. Per tutto il film non si cercano colpevoli netti, ma si mettono in luce responsabilità diffuse. Proprio per questo lascia un segno profondo ed è impossibile guardarlo senza provare un nodo alla gola. Appare altrettanto difficile uscirne senza voler fare qualcosa, anche solo aprire gli occhi. Questo film è una carezza e un pugno. È una dedica a chi non c’è più e un avvertimento per chi c’è ancora. E dovrebbe essere proiettato nelle scuole, certo. Ma prima di tutto, dovrebbe entrare nelle case. Perché il cambiamento comincia da lì.